Il sapere non è un sovrappiù per la vita

La riflessione. Un «calcio d’inizio», come ha detto Giorgio Gori buttandola sul football, che è stato anche un elegante e istituzionale taglio del nastro, fra Teatro Donizetti e Teatro Grande, per l’anno che vede Brescia e Bergamo Capitale della Cultura italiana. «Più di cento progetti», e molti altri di contorno - dice il sindaco. Anche se il programma, per il lato Bergamo, ancora non è noto.

Un «laboratorio vivo di collaborazione» che vuole disegnare «una città illuminata» in grado di rappresentare l’Italia «all’Europa e al mondo» come un Paese orgoglioso del suo passato ma che sa anche camminare già nel futuro. Un piccolo «rinascimento», lo ha definito il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, forse un po’ esagerando, che vuole essere anche un (meno piccolo) «risarcimento» da parte del Paese che si è specchiato nel dolore, nello spavento, nel lutto che tre anni fa hanno colpito all’improvviso questo territorio di qua e di là dall’Oglio, ma probabilmente si è riconosciuto anche nella capacità di tenuta di un tessuto sociale che è più solido di quanto noi stessi pensiamo. Una resistenza (ben più che una resilienza) e una ripresa che parlano di una terra abituata al lavoro senza orari, al sacrificio senza calcoli, alla solidarietà umana praticata anche a proprio rischio e pericolo.

È questa la «cultura» che Bergamo e Brescia vogliono mettere in mostra quest’anno, assieme, certo, alla straordinaria ricchezza di patrimoni del passato che abbiamo iniziato a tirare fuori dai depositi, a richiamare da «trasferte» all’estero, per mostrare, queste due terre per tradizione schive, il Paese che siamo.

Il sindaco di Brescia Emilio Del Bono ha cercato di andare un po’ oltre il (giusto) orgoglio per una manifestazione che metterà per un anno Brescia e Bergamo (lo si è visto già dal Tg1 delle 20 di ieri sera) al centro dell’attenzione. Ricordando che la cultura non è solo capacità di un intelligente e competente impegno con le sfide e le fatiche della vita. La stessa «accoglienza» - dice Del Bono - «è molto di più che buone maniere ed educazione», è «umanità e tenerezza» concrete, capaci di erompere nei momenti peggiori. È «una civiltà» che un popolo ha codificato nel suo Dna non meno che nei tratti somatici. È una «mentalità» che ritroviamo fra «parrocchie e quartieri» capaci di mobilitarsi per il Covid come per un’occasione di rilancio e di festa come questa. La cultura è anche «occhi che cercano la bellezza», è «leva di promozione umana, di cammino verso l’alto».

Ma ci è voluto il Presidente Mattarella per cogliere a fondo lo spirito vero di questa occasione: «La cultura - ha ricordato il Presidente della Repubblica - è una grande ricchezza», non solo perché può essere (anche) un’efficace attrattiva turistica e un volano di rilancio per un’economia in affanno. La cultura è qualcosa che «nasce dalla vita, dalla comunità, dalla natura che la ospita, e poi ritorna alle persone, alle generazioni successive, come linfa, come civiltà, come genio e valore». La cultura, insiste Mattarella, «non è un ambito separato dell’attività umana, quasi un suo sovrappiù». Ne ha dato una definizione sintetica e molto bella, pratica e ideale, tradizionale e scientifica al tempo stesso: cultura «è il sapere conquistato dall’esperienza».

In un’occasione così gioiosa, Mattarella ha voluto ricordarci anche la guerra a due passi, «in Europa», arruolando la cultura «a giocare un ruolo nel colmare le distanze, nel ricostruire rispetto e coesistenza, nell’unire gli uomini». Ricordandoci che se abbiamo creato musei, pinacoteche, biblioteche è per «ammassare riserve contro l’inverno dello spirito» - come diceva Marguerite Yourcenar.

Così ha fatto sorridere, ma non poi tanto, il fatto che quasi tutti quelli che hanno preso la parola il giorno dell’esordio di questa Capitale, già si siano detti preoccupati di ciò che essa potrà lasciare «ben oltre il 2023». Un accento molto bergamasco, molto bresciano.

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