Il silenzio, colonna
sonora del ricordo

Il dolore non ha tempo o scadenze e chiama a raccolta tutti nel deserto di città e paesi spettrali: non spettatori nella ridotta delle pareti domestiche che delimita il territorio da difendere, ma partecipi di un dramma tragicamente memorabile. E così ieri a mezzogiorno l’Italia, a cominciare dalla prima linea di Bergamo, ha onorato le vittime dell’epidemia con un minuto di silenzio e con le bandiere a mezz’asta. Con tutti i sindaci italiani, ai quali si deve l’iniziativa, schierati davanti ai loro Municipi o al monumento ai Caduti. Quei primi cittadini che sono parte integrante di un dolore collettivo fattosi operoso, insieme ai medici, infermieri, volontari, alpini, l’ala marciante di una Bergamasca solidale. Quei Municipi luoghi reali di socialità, con la loro densità simbolica.

Quel silenzio assordante, unito qua e là al Silenzio fuori ordinanza, la colonna sonora della memoria. Senza ostentazione o tonalità di contrapposizione: come se istituzioni e politica avessero trovato una loro umiltà. Fra note struggenti, attese talora frustrate, speranze di farcela. Fissiamola bene l’immagine (al singolare: una vale per tutti) di ieri, perché rischia di essere l’attimo che segna un prima e un poi: incarna il volto dolente del secolo consegnato ai posteri. Nell’era dell’incertezza come cifra esistenziale, ci si ritrova in una comunità di destino e il minuto di raccoglimento esprime le parole di tutti, rinsaldando la coscienza morale del Paese.

Lo è a maggior ragione nella Bergamasca, che soffre più di altre. La storia e il presente si riassumono in una sintesi che ha costruito la cultura dell’uomo bergamasco. La città e le tantissime comunità di paese. I sindaci, gli amministratori di prossimità, con la fascia tricolore. Il Municipio, il luogo dell’autonomia che, specie da noi, nella realizzazione istituzionale viene prima della formazione dello Stato. Il Tricolore, il vessillo dell’appartenenza nazionale, che, listato a lutto, esprime il sentimento più intimo e vicino. Le mascherine dei sindaci che danno lo spirito del tempo. Quando si farà la Storia del flagello, non si potrà prescindere da questa coralità muta che parla dell’infinita somma di ricordi individuali diventati memoria pubblica.

E nel farlo rivela gli aspetti più umani della nostra terra e il suo spirito popolare maturato in chiave consensuale: la comunità e il territorio, l’autonomia locale e l’orgoglio nazionale. Quasi a smontare i limiti di una certa propensione storica a dividersi per riaffermare invece il comune vincolo di appartenenza alle istituzioni locali e nazionali. Lo vediamo nella straordinaria mobilitazione di questo periodo, che non sorprende. Semmai interroga le nostre trascorse omissioni, forse il non aver sempre considerato adeguatamente, e talora sperperandolo, quel capitale sociale che è il nostro autentico Pil.

Questo modo d’essere lo troviamo ribadito nell’omaggio a chi non è più fra noi, ma sempre con noi, una generazione strappata alla vita ma non perduta alla riconoscenza. L’oltraggio sferrato dalla nuova frontiera del male ha impedito l’ultimo saluto e i camion militari, con le spoglie itineranti alla ricerca di una meta terrena, raccontano lo scarto impietoso, la sequenza chirurgica di una solitudine obbligata inseguita dalla pietas di una umanità smarrita. Ma il futuro dove sta? Sta anche nel mezzogiorno silenzioso di ieri: il Municipio, il Tricolore a mezz’asta, la forza di antichi riscatti conquistati con sacrificio e per questo la consapevolezza di non potercela fare da soli.

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