Il sovranismo in Europa
non trova unanimità

Tempi duri per il sovranismo. Due assenze di rilievo rendono visibili i problemi che complicano la marcia trionfale di questa corrente che scuote l’Europa proclamando il ripristino dell’autonomia e dell’indipendenza statale.
Il premier ungherese Viktor Orban e la leader del Rassemblement National francese Marine Le Pen non parteciperanno all’incontro dei partiti sovranisti in programma lunedì prossimo a Milano, convocato dal leader della Lega, Matteo Salvini.

I motivi sono molteplici e si inseriscono nel contesto delle elezioni europee ormai alle porte (in Italia il 26 di maggio). Orban non vuole rompere con il Partito popolare europeo e spera di evitare l’espulsione. Salvini invece vuole scardinare il Ppe e portarlo dalla sua parte, fuori dall’orbita socialista del Pse (con cui la formazione di centro ha governato in questi anni). Quanto a Marine le Pen, dice di essere impegnata nella campagna elettorale, ma forse la leader populista non vuole fare la parte della comprimaria di fronte a Matteo Salvini, che da suo allievo ed estimatore è ormai diventato il principale leader del sovranismo europeo.

Il leader felpato (nel senso della felpa, non dei toni) vuol fare l’Internazionale sovranista e continua a stringere alleanze con i suoi omologhi europei e il gruppo di Visegrad (Ungheria, Slovacchia, Polonia e Repubblica Ceca). Lunedì 8 aprile, all’Hotel Gallia di Milano, il segretario federale leghista presenterà, insieme ad alcuni leader europei, la prima conferenza programmatica internazionale che aprirà la campagna elettorale.

In realtà quello del sovranismo è un mondo molto variegato e poco propenso alla confederazione. Ieri ci sono state scintille con Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia.

Il caso più emblematico è quello di Silvio Berlusconi, da sempre amico di Viktor Orban, che strizza l’occhio - avendo fiutato il vento - ai sovranismi per catturare voti ma rimane nel Ppe per paura di perdere al suo interno i moderati e i conservatori. Ed eccolo così coniare lo slogan di «sovranismo europeo», un ossimoro politico che significa alleanza tra Ppe e sovranisti e che ripropone a Strasburgo quell’«asse del Nord» tra Lega e moderati di centrodestra, alla base dei suoi governi in Italia in questi anni.

Ma che il sovranismo accusi colpi lo dimostra la cautela di Viktor Orban, non molto tempo fa simbolo di questo movimento e questa visione, con i suoi muri e le sue politiche anti immigrati. In casa sua Orban se la deve vedere con l’opposizione e con la piazza, in tumulto ormai da mesi. Piazza che non ha digerito per nulla la cosiddetta «legge schiavitù», approvata in dicembre, che aumenta fino a 400 ore l’anno gli straordinari a disposizione dei datori di lavoro. Una soluzione strampalata del premier magiaro per far fronte alla carenza di manodopera e al fatto che il Paese è preda di una grave crisi demografica. La soluzione sarebbero – guarda un po’ – gli immigrati, ma Orban aveva puntato tutto sulla xenofobia e si trova in un «cul de sac». Per anni, l’Ungheria ha agevolato l’ingresso soltanto di manodopera ucraina, ma anche Kiev ha problemi demografici e i lavoratori che si spostano verso l’Ungheria sono in diminuzione. Mancano rinforzi, e così si obbligano i lavoratori «autoctoni» a un fardello di straordinari pesantissimi. Le scelte ungheresi in fatto di economia e di immigrazione oggi raccolgono le proteste e l’attuale capo di governo rischia di essere scalzato. Ecco perché Orban, prudentemente, si tiene lontano da colui che oggi è il principe riconosciuto del sovranismo.

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