In Europa sovranismi silenziati. E si riscopre il motto «tutti per uno»

Non sappiamo ancora come finirà la guerra in corso. Non sappiamo nemmeno quale sarà il suo verdetto, tanto più che, alla luce della piega che il conflitto sta assumendo, può darsi che il probabile vincitore militare (Russia) risulti un perdente politico, mentre il vinto militare (Ucraina) ne esca vincitore politico. Pur con tutte queste incertezze gravanti sull’esito del conflitto, sono già chiare a grandi linee le ricadute che l’aggressione del Golia russo al Davide ucraino apporterà alla vita politica internazionale e interna.

Per tutti i primi cinquant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale il mondo è vissuto pericolosamente sull’orlo di un nuovo conflitto. Incombeva la divisione ideologica che contrapponeva l’Occidente all’Oriente, l’uno alfiere di democrazia e capitalismo, l’altro di dittatura e comunismo. Con la caduta del muro di Berlino si era infine pensato che finalmente il globo intero si sarebbe pacificato nel nome della democrazia e della crescita economica. Il 24 febbraio scorso è suonata la sveglia. Ci siamo resi conto che la storia non è affatto finita con il trionfo della libera competizione economica e della pacifica convivenza tra i popoli. È rispuntato il fantasma della guerra che sta ridisegnando due campi in lotta tra loro (ancora una volta, Occidente vs Oriente), non più però su base ideologica, bensì su base politica: patriottismo democratico vs nazionalismo imperialista. Ne sono risultate sconvolte anche le coordinate con cui la politica guarda il mondo.

Fino a ieri l’imperialismo era per definizione a stelle e strisce. Ora si scopre che c’è un imperialismo ben più incombente e devastante. Ha i colori bianco, blu e rosso della bandiera russa. La nazione che la sinistra italiana ha a lungo considerato la patria dell’internazionalismo e l’avanguardia della lotta di liberazione dallo sfruttamento è diventato la centrale del nazionalismo e dell’autocrazia. La riapparizione della guerra guerreggiata ha fatto scattare l’allarme. Se è vero che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, a questi mezzi - le armi - bisogna ricorrere per non soccombere. Di colpo, tutti i contrasti che hanno arenato il cammino dell’Europa verso una reale unità politica, se non sono svaniti, si sono almeno silenziati. La Ue ha invitato i suoi partner a stanziare d’ora in avanti almeno il 2% del loro bilancio alla voce armamenti. E gli armamenti non sono solo materiale bellico. Sono anche conquista di un’autonomia energetica e salvaguardia dei settori strategici dell’economia in modo da liberarla da servitù straniere.

Altra novità. L’incubo della guerra sta togliendo la terra sotto i piedi a sovranismo e populismo. Non ognuno per sé, ma «tutti per uno» è la nuova parola d’ordine che si sente risuonare per tutta Europa. Gli stessi Paesi del Gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia) gelosi custodi della propria autonomia, di fronte al pericolo di un’invasione russa, sono diventati i più fervorosi sostenitori di un’attiva solidarietà comunitaria in aiuto all’Ucraina. Infine, se è vero - com’è vero - che la libertà non è gratis, ci sono da mettere in conto le ricadute che necessariamente si sconteranno sul piano economico e sociale all’interno di ogni Paese e che già fanno sentire i loro morsi. Inflazione, austerity, abbandono del deficit spending (spesa pubblica a debito), ridimensionamento del welfare state: parole che da un trentennio erano scomparse dal vocabolario politico hanno già fatto capolino minacciose. Inflazione significa erosione del potere d’acquisto e, senza tutele, il salario nominale si impoverisce. Trasferimento di ricchezza comporta conflittualità sociale, la conflittualità sociale tensioni politiche. Si delinea un nuovo, inedito scenario. La politica non potrà non tenerne conto.

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