In Europa violato
un altro tabù

In Europa è stato violato un altro tabù: l’estrema destra (Vox), per la prima volta nella Spagna democratica, entra in Parlamento. Era già successo con qualche seria preoccupazione in Germania e, a poche settimane dalle Europee, è un altro indizio della rumorosa marcia di avvicinamento dei sovranisti. Non tale, però, da giustificare una spallata vera e propria: la nuova destra radicale dovrebbe attestarsi al 10%, un risultato significativo, in linea con i sondaggi, ma al di sotto di quel 15% indicato come punto di rottura. La formula ibrida all’italiana rimane un laboratorio a sé nel Mediterraneo. I socialisti, destinatari del voto utile per fermare la destra senza complessi, sono il primo partito, ma non hanno i numeri per governare, la sinistra movimentista di Podemos ha arrestato la caduta, la destra liberale è in ripresa.

Il dato ridimensionato di Vox, formazione un po’ nostalgica e un po’ salviniana, è avvenuto a spese della destra classica (i popolari), spolpata dalle inchieste sulla corruzione, priva di un leader: il partito che aveva sterilizzato i residui franchisti e che ha avuto la sua stagione d’oro negli anni ’90 con Aznar, adottando il modulo liberista in economia e sfruttando al massimo i Fondi europei. Quello di ieri è stato il terzo appuntamento elettorale degli ultimi tre anni e mezzo, un voto fra i più incerti della storia recente della Spagna, la cui vicenda democratica è figlia dell’ondata degli anni ’70 che aveva restituito alla libertà anche Portogallo e Grecia. Dalla morte di Franco (1975) il Paese iberico ha innestato la marcia: la Costituzione del ’78 ha disegnato una cornice maggioritaria stabile e l’ingresso nell’Europa comunitaria (1986) ha contribuito alla crescita economica.

A lungo s’è parlato di un «modello Spagna». La recessione di questi anni, fra bolla immobiliare e lavoro precario, ha però ribaltato il quadro e la faticosa uscita dalla crisi, pur senza le asprezze euroscettiche dell’Italia, s’è accompagnata all’esplodere dello scontro con la Catalogna proprio mentre si esauriva la parabola dell’Eta basca. Una contrapposizione durissima, in una cornice istituzionale bloccata e mentre prosegue il processo ai leader indipendentisti di Barcellona. L’ombra della questione catalana – parte del successo dell’estrema destra nazionalista che accusa il precedente governo di destra di una gestione blanda – condiziona tutti gli scenari per la formazione del nuovo esecutivo. Del resto alle urne si è arrivati a carte scoperte: i socialisti sono disponibili all’alleanza con Podemos, ma servirebbero anche catalani e baschi, e i popolari hanno sdoganato Vox con il quale già governano l’Andalusia.

Quel che allinea la Spagna all’Italia è il rischio instabilità con il passaggio dal bipolarismo (popolari-socialisti) alla frammentazione partitica. Un sistema a cinque: tre destre e due sinistre. Uno stallo che già si era avuto con le elezioni di fine 2015 e che ora potrebbe riproporsi: alla presenza ormai consolidata di Podemos a sinistra e di Ciudadanos nel centrodestra, l’arrivo di Vox spariglia ulteriormente il gioco. La nuova destra nazionalista, passata in pochi mesi da numero statistico a protagonista ingombrante, rappresenta un fattore che comunque condiziona, soprattutto la maturazione liberale dei conservatori. Popolari e Ciudadanos in questi mesi si sono già spostati a destra per contenere l’effetto Vox e l’evoluzione del quadro politico dipenderà molto dal nodo catalano: dal tipo di risposta, più o meno dura, politica o giudiziaria, che lo Stato centrale intende dare alle rivendicazioni indipendentiste.

© RIPRODUZIONE RISERVATA