Industriali,
per l’italia
la vocazione
del dovere

L’evento, l’assemblea di Confindustria Bergamo al Kilometro Rosso, era già riassunto nel colpo d’occhio iniziale: in tanti all’incontro di ieri, il primo dal Covid che aveva martoriato la nostra terra. Istantanee a misura di un cambio di vento: il ritorno in presenza, alle relazioni sociali, ai sorrisi dietro le mascherine. Una connessione sentimentale riconquistata e rilanciata, con la voglia di farcela, ora che la ripresa è qui per esserci. Non va sprecata. Un giorno particolare: il Green pass day, il venerdì nero che fortunatamente nero non è stato, l’inaugurazione della nuova sede di Confindustria Bergamo.

Ma anche il profilo umano, un po’ la cifra dell’appuntamento, l’abbraccio corale a tutti quelli che in questi mesi sono stati in prima linea e un omaggio a chi non c’è più. Il silenzio di raccoglimento chiesto dal vescovo Francesco Beschi, accompagnato dalle recenti parole di Papa Francesco sulla «nobile figura dell’imprenditore». Là dove per nobiltà s’intende dignità, impegno, responsabilità. Il finale di monsignor Beschi coincide con la tonalità complessiva dell’assemblea: il lavoro prima di tutto, nel contesto di una società inclusiva.

Non a caso il leader nazionale di Confindustria, Carlo Bonomi, è tornato sul Patto per l’Italia, l’intesa sindacale del 2020. Mozione degli affetti, orgoglio imprenditoriale calibrato, proiezione dell’industria bergamasca nella competizione global. Ragionevole ottimismo, ma nel perimetro del realismo. Il presidente Stefano Scaglia illustra il patrimonio del «modello Bergamo», avverte le nubi all’orizzonte (inflazione, rincari delle materie prime, crescita un po’ drogata), apprezza quel che sta facendo il governo nel segno della stabilità, condanna le recenti violenze, critica taluni sovranismi dell’Est europeo. Lo dice anche da bergamasco, dentro le curve di una società coesa che trova il proprio fondamento nel lavoro, anzi nel lavoro ben fatto, composto da quegli stilisti della manualità che ci hanno reso celebri. Più politico, più dentro le controversie, l’intervento di Bonomi, personalità abituata a parlar chiaro e che ora con «voce ferma ma misurata» si muove lungo un doppio canone: l’apprezzamento a Draghi, il dissenso verso talune posizioni della maggioranza. Da un lato avverte le insidie del post pandemia, dall’altro pone gli industriali sulla «prima linea» dell’Italia responsabile, quella che si riconosce nell’80% dei vaccinati. Senza sconti al governo, ma anche esplicito contro chi soffia sul fuoco della protesta, gli irresponsabili del caos, i protagonisti del sabato nero a Roma. Il green pass, avverte, non sarà una passeggiata per le aziende, che già hanno la vita resa difficile dalla tutela della privacy. Non ci sono stati licenziamenti in massa come si temeva, piuttosto gli imprenditori vorrebbero assumere. Traccia la linea di demarcazione: «Bisogna tener duro per difendere il patrimonio del Paese».

Cominciamo, insiste, a ridurre il cuneo fiscale nelle buste paga dei lavoratori, variabile decisiva: questione di competitività, e poi occorre mettere più soldi in tasca agli italiani per stimolare la domanda interna. Sulla Cassa integrazione, gli industriali sono contributori netti. Necessaria la riforma degli ammortizzatori sociali: il ritardo è cronico. Non parliamo per carità di patria dei navigator, mentre Quota 100, da qui al 2028, costa 18 miliardi. Bonomi replica alle accuse e rilancia nella cornice di una dialettica negoziale inserita a pieno titolo quale parte costruttiva della ripresa. Vista da Bergamo, l’Italia si affida alla vocazione del dovere, maggioritaria, rispetto a quella rumorosa di minoranza, che si chiama fuori. Fra vecchi arnesi e nuovi professionisti del caos.

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