
L'Editoriale
Domenica 29 Giugno 2025
Instabilità e beni rifugio, l’Europa alla prova
MONDO. Instabilità chiama instabilità, dalla geopolitica e dai cieli mediorientali direttamente nei listini azionari e nei portafogli di noi cittadini. La conferma è nei segnali arrivati dai mercati finanziari nelle scorse settimane, appena dopo l’inizio degli attacchi di Israele contro le infrastrutture nucleari della Repubblica islamica d’Iran.
Le quotazioni del petrolio sono subito salite, con un picco del 14% nelle prime ore. L’Iran è un importante esportatore di greggio, al momento soprattutto verso la Cina, e si affaccia sullo Stretto di Hormuz dove ogni giorno transita un quinto dei flussi planetari della stessa materia prima. Il timore, dunque, è stato che un coinvolgimento nel conflitto delle infrastrutture energetiche o portuali di Teheran, o una ritorsione degli Ayatollah sulle tratte commerciali limitrofe, potesse rendere più difficile – e dunque più costoso – l’approvvigionamento di oro nero, da qui il repentino rincaro. Nelle stesse ore l’incertezza aveva spinto verso il basso le Borse, con perdite contenute, ma molto più consistenti per le quotazioni delle compagnie aeree. Di nuovo, la logica era quasi ovvia: sarebbero state le compagnie aeree, tra chiusure dei cieli in alcuni Paesi e annullamento di un certo numero di viaggi, a vedersi erodere margini di profitto per qualche tempo, da qui la scelta di vendere le loro azioni. Ora invece il petrolio, che meno di una settimana fa aveva toccato picchi di 80 dollari al barile, è tornato ai livelli pre-guerra, poco sopra i 65 dollari. Potere di un (fragile) cessate il fuoco tra Israele e Iran. Basterebbero questi pochi esempi per smentire tesi semplicistiche e dal sapore complottistico sui «mercati finanziari», spesso descritti come un’entità astratta, dotata di libero arbitrio e innata malvagità; in realtà i «mercati» non sono altro che i risparmi di tanti cittadini comuni – alcuni più ricchi, altri meno – spostati da un asset all’altro per scelta di investitori di professione (o amatoriali) alla ricerca di rendimenti maggiori.
I «mercati» non sono altro che i risparmi di tanti cittadini comuni – alcuni più ricchi, altri meno – spostati da un asset all’altro per scelta di investitori di professione (o amatoriali) alla ricerca di rendimenti maggiori
Proprio come molti esseri umani che oggi si trovano purtroppo sotto le bombe di eserciti stranieri, nei momenti di massima incertezza i risparmi accumulati in tutto il mondo cercano un rifugio. Quelli che gli esperti chiamano «beni rifugio» sono infatti una forma di investimento che ha la caratteristica di essere al riparo da inflazione e perdite di valore eccessive. Di nuovo, gli eventi di questi giorni consentono di capirlo meglio di un manuale di macroeconomia. Il valore dell’oro, bene rifugio per eccellenza, non a caso ha raggiunto i massimi nelle ultime settimane, superando i 3.400 dollari all’oncia, salvo poi tornare sotto i 3.300 dollari. Non è l’unico «safe haven», per usare l’espressione anglosassone degli addetti ai lavori. Anche i rendimenti dei titoli di Stato tedeschi, i Bund, sono scesi ai minimi dal mese di maggio, segno che tanti risparmiatori hanno scelto di acquistarli ritenendoli «sicuri» in ragione delle scarsissime possibilità che la Germania, con i suoi conti pubblici super-ordinati, possa fare default per qualche ragione.
Proprio come nella vita reale, però, anche sui mercati non esistono beni rifugio che siano sempre e comunque sicuri
Proprio come nella vita reale, però, anche sui mercati non esistono beni rifugio che siano sempre e comunque sicuri. Nella repubblica di Utopia descritta agli inizi del 1500 da Tommaso Moro, per dire, l’oro aveva talmente poco valore da essere impiegato «per i vasi da notte e altri recipienti usati per le funzioni più umili». Fuor di satira, e per quanto l’oro sia stabile, dagli anni 70 del secolo scorso agli inizi degli anni 2000 il suo valore si ridusse drasticamente. Tanti di noi, inoltre, hanno vissuto di persona la discesa dei prezzi degli immobili durante la crisi dei debiti sovrani oppure nel corso della pandemia da Covid-19. Ciò non impedisce che nel 2025 il mattone, nel nostro Paese, sia tornato a essere considerato come un bene rifugio: nonostante la crescita del Pil non brilli, nel primo trimestre la domanda di abitazioni è aumentata del 18%, i prezzi in media del 3% su base annua, e nel secondo trimestre si potrebbe verificare un’ulteriore accelerazione di questo andamento. Fino a quando, però? Nessuno lo può sapere.
Ecco perché diventare titolari di un «bene rifugio» può essere anche un obiettivo cui legittimamente anelare come cittadini europei. Da inizio anno, dopo l’innalzamento generalizzato dei dazi annunciato da Trump e il declassamento del debito pubblico americano da parte delle agenzie di rating, il dollaro ha perso valore ed è perfino iniziato un dibattito sulla possibile fine del suo ruolo di valuta di riserva mondiale. Correre troppo in avanti con l’immaginazione non serve. Resta il fatto che per la nostra moneta, l’euro, si apre adesso una possibilità di rafforzamento internazionale. Non sarà né scontato né semplice. Per diventare attrattivi rispetto ai risparmiatori e agli afflussi finanziari internazionali, l’economia europea dovrebbe crescere di scala (per esempio attraverso emissioni di Eurobond) e in dinamismo (per garantire crescita futura). Per trovare un bene rifugio infatti sono necessarie attenzione e cautela, per costruirne uno sono necessarie creatività e tenacia.
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