Intesa-Ubi
inizia la vera partita
è una finale

Adesso il riscaldamento è finito e inizia la partita vera. L’autorizzazione della Consob al prospetto informativo dell’Ops di Intesa su Ubi è il fischio di inizio. I 90 minuti scadranno il 28 luglio, ma non si possono escludere due settimane di supplementari. E proprio come le partite di calcio, i risultati possibili sono tre: vittoria, pareggio, sconfitta. Se guardiamo dal lato dell’offerente, la vittoria è l’adesione di almeno il 67% delle azioni, condizione che consentirebbe alla banca milanese di procedere all’annunciata incorporazione di Ubi e di attuare il suo progetto industriale di una forte crescita nel mercato italiano e soprattutto nelle aree più floride del Paese, dove maggiormente è presente Ubi.

Così forte la futura presenza che l’Antitrust ha sollevato il dubbio che sia addirittura lesiva della concorrenza e ha richiesto chiarimenti.

Quindi l’offerta sarà condizionata all’autorizzazione e all’adempimento delle eventuali prescrizioni di riduzione della quota di mercato. Intesa perde se gli azionisti che consegneranno le azioni per il concambio saranno pochi, meno del 50%. L’offerente non ha alcun interesse ad avere una quota importante ma di minoranza in una banca che non può controllare appieno e quindi risulterebbe un mero investimento finanziario, di per sé estraneo alle logiche di impiego di un grande gruppo creditizio.

Il terzo risultato è il pareggio: l’offerta raccoglie fra il 51% (maggioranza semplice) e il 66% (maggioranza assoluta). In questo caso Intesa si riserva la facoltà di tramutare il pareggio in vittoria o in sconfitta decidendo di acquistare o no le azioni conferite. Ma sarebbe una vera vittoria? Bisogna spiegare che la differenza fra i due tipi di maggioranza è decisiva: la prima consente di prendere decisioni ordinarie (la gestione corrente, il dividendo, la nomina dei futuri amministratori eccetera) ma per cambiare il volto della banca acquisita, e ovviamente anche per incorporarla, occorre la maggioranza dei due terzi dei soci. Ed è ragionevole pensare che i soci che non aderiscono all’offerta siano contrari anche all’incorporazione e ad altre operazioni straordinarie che stravolgano l’assetto attuale di Ubi.

Insomma, una condizione sostanzialmente di stallo, che suscita una domanda importante: potrebbe Intesa realizzare le finalità della sua offerta muovendosi entro i limiti della sola maggioranza ordinaria? Potrebbe, innanzitutto, adempiere alle prescrizioni dell’Antitrust in termini di riduzione della futura quota di mercato? Potrebbe cioè vendere gli oltre 500 sportelli che si era impegnata a dismettere? Potrebbe attuare le integrazioni fra i due gruppi che sono alla base delle sinergie prospettate, sia in termini di accrescimento dei ricavi sia di risparmio di costi operativi?

Questi interrogativi sono cruciali per tutti gli stakeholder, non solo per gli azionisti che dovranno decidere se aderire oppure no. Le autorità di supervisione del settore bancario hanno autorizzato l’operazione confidando nella concentrazione del sistema, non immaginando che restino le stesse banche di prima che vanno a braccetto; agli azionisti è stato prospettato un business plan che indica target ambiziosi in termini di utili e di dividendi che presuppongono le sinergie; i dipendenti non potranno prefigurarsi quale assetto organizzativo si configurerà. Insomma, uno scenario indefinito, o meglio: indefinibile, che offusca anche i processi decisionali degli azionisti.

Tornando alla metafora calcistica, questa è una finale, non una partita di metà campionato. Bisogna che esca un vincitore indiscusso.

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