La corsa al vaccino contro il Covid-19
e il potere geopolitico

La corsa per giungere primi al vaccino contro il Covid-19 è anche una battaglia geopolitica. In palio non ci sono solo profitti miliardari ma tanto, tantissimo prestigio internazionale. La «soft power» del Paese, che riuscirà a vaccinare in massa i propri cittadini - anticipando i concorrenti - e a mettere quanto prodotto a disposizione della comunità, otterrà un impulso globale. Colpisce che uno studioso della caratura dell’immunologo Usa Anthony Fauci si sia lasciato a commenti al vetriolo contro il sistema sanitario britannico, a suo dire, troppo frettoloso nell’«approvare», per primo in Occidente, un vaccino da utilizzare già dalla prossima settimana. Grazie alla Brexit e senza la burocrazia Ue «ci siamo riusciti», aveva gridato Londra. Solo gelo in risposta da Bruxelles.

Il caso russo è emblematico. Fin dall’inizio della pandemia il gigante slavo - che invece da oggi ufficialmente vaccina su larga scala dottori ed insegnanti moscoviti - è parso essere quello più avanti nelle ricerche. La ragione è semplice: gli scienziati federali hanno continuato a studiare fin dopo al 2003 la Sars e le successive evoluzioni. Chiaramente non hanno sviluppato le fasi per arrivare ad un vaccino, che non era necessario, poiché la Sars è scomparsa in un baleno.

Partendo da quegli studi, i russi hanno rapidamente superato i primi passaggi per arrivare alla definizione di una sostanza che potesse combattere il virus senza troppe controindicazioni. Il caso ha quindi voluto che si ammalassero politici di primo piano, oligarchi, gente del jet set nella primavera 2020. La necessità si è così trasformata in urgenza ed obbligo di provarci per salvare delle vite. A molte di queste persone - compresa una delle due figlie del presidente Putin - è stato iniettato il campione del vaccino. L’esito è stato positivo. Solo in un secondo momento le riviste scientifiche internazionali hanno certificato che lo Sputnik 5 non è assolutamente un bluff. Anzi. Semmai è il suo uso propagandistico - torniamo pertanto in ottica «soft power» - che ha suscitato perplessità.

Così, non appena un congiunto occidentale ha reso noto che il suo vaccino ha un’incidenza positiva del 92%, la Russia ha comunicato, dopo una manciata di ore, che un suo secondo vaccino, appena registrato (EpiVacCorona), ne ha ben il 94%. Insomma, è parsa una lotta a chi la spara più grossa. I nodi, però, arrivano sempre al pettine. A giudicare dalle dichiarazioni, la fase 3, quella riguardante il test su migliaia di volontari, è stata completata con successo. Adesso la questione centrale è la produzione su larga scala. Mosca - sta venendo fuori - non è in grado di produrre il necessario miliardo di dosi ed il presidente Putin si è rivolto per un aiuto all’India e al capo dell’Eliseo, Macron. Cosa è successo? Qualche buon ricercatore - formatosi in tempi sovietici - non si è trasferito all’estero, accettando per anni stipendi da fame, ma le infrastrutture - in questo caso l’industria farmaceutica - sono state smantellate in questi ultimi decenni. La lezione è che certe scelte scriteriate del passato ora si pagano a prezzo salato.

La «macchina» russa rischia così di fermarsi vicino al traguardo. Americani, europei e cinesi sono anche loro scatenati in questa gara contro il tempo. Arrivare primi, oltre a salvare chiaramente tante vite, significa dimostrare al mondo la qualità del proprio Paese e la bontà del proprio modello. In tempo di globalizzazione sfrenata, con i cinesi che già fanno esperimenti sul 6G, sarebbe uno smacco per russi ed occidentali arrivare secondi o terzi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA