La crisi dei partiti
senza più
una visione

Pare irreversibile la crisi che accomuna i partiti politici, i cui connotati tradizionali si sono gradualmente evaporati. I meccanismi abituali di adesione - tesseramento, militanza di base, sedi di radicamento territoriale - sopravvivono a fatica e si è persa ogni forma di gestione collettiva. Gli aderenti, siano essi iscritti o simpatizzanti, non hanno più alcun peso nella determinazione degli indirizzi dell’azione politica. L’aspetto che ha certamente inciso più di tutti su tale processo di narcosi partecipativa è il declino delle «ideologie». Nel secolo scorso liberalismo, marxismo, fascismo, neoliberismo sono stati i principali riferimenti ideologici che hanno ispirato, nel bene e nel terribilmente male, la costruzione di strutture sociali, di sistemi economici e l’organizzazione delle relazioni umane.

Con la sconfitta del nazismo e del fascismo, la fine dell’imperialismo sovietico, la crisi dei partiti marxisti in Occidente, il fallimento di quasi tutte le rivoluzioni popolari in America Latina, agli inizi degli anni Novanta si è iniziato a parlare di tramonto delle ideologie in quasi tutto l’Occidentale.

Questa circostanza ha assunto un’evidenza ancora più marcata nel nostro Paese, travolto da Tangentopoli e dalla conseguente dissoluzione fattuale e ideale della vita politica nazionale. Nel dibattito sviluppatosi negli anni successivi, un ruolo crescente è stato assunto da posizioni «post-ideologiche» che hanno riguardato in modo più o meno marcato i vari partiti. Queste posizioni sono state amplificate dall’avvento dirompente del movimento grillino, votato al superamento delle contrapposizioni concettuali in nome di una nuova politica «multimediale» e interconnessa h24, più pragmatica e trasparente, di diretta espressione popolare. Nel 2018, mentre il movimento da lui fondato iniziava a prendere consistenza, Beppe Grillo sentenziava: «Siamo la più grande forza post-ideologica d’Europa». In uno scenario di questo tipo, un ruolo sempre più determinante è stato giocato dalla figura incontrastata e iconica del «leader» al punto che la stessa esistenza dei vari partiti è sembrata sempre più dipendere dal volere dei loro capi, piuttosto che dalla condivisione di ideali e da una comune visione del futuro.

Non c’è da stupirsi, quindi, se oggi il concetto stesso di «ideologia» è dai più interpretato in maniera svilente, al punto che chi esprime una posizione ideologica è accusato di essere portatore di argomentazioni nostalgiche, puramente teoriche perché scollegate con i bisogni dell’oggi. Evidentemente ci si dimentica, più o meno capziosamente, che l’ideologia è quanto di più tangibile esista, dato che rappresenta un sistema di valori e coordinate concrete in base a cui gli esseri umani orientano le proprie azioni. Continuare a sostenere teorie post-ideologiche, pensando che le ideologie siano addirittura pesi morti di cui liberarsi, agevola la creazione di una classe dirigente elitista, incapace di rapportarsi ai cittadini e, allo stesso tempo, determina la subordinazione acritica del popolo a quella stessa classe dirigente.

Nel corso della storia le ideologie, come «concezioni del mondo», hanno rappresentato un insieme di principi e idee con cui si è cercato d’interpretare la realtà e organizzare tutte le forme di convivenza tra gli esseri umani. Proprio di questo ci sarebbe bisogno come il pane adesso. Spetta ai partiti, ognuno partendo dalle proprie convinzioni di fondo, giocare la sfida della contemporaneità sino in fondo. Occorre uno scatto d’orgoglio e di qualità che faccia loro riaffermare la centralità all’interno del sistema democratico, riappropriandosi del ruolo d’interprete delle istanze che provengono dalla società. La buona politica è sempre stata e sempre sarà partecipazione e visione

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