La crisi è davvero profonda se nemmeno Conte riesce a raddrizzare i 5 Stelle

I grillini esordirono in Parlamento, quando erano ancora sulla cresta dell’onda, con una furiosa guerra degli scontrini: i gruppi parlamentari allora si lacerarono intorno ai pie’ di lista e alle ricevute dei taxi. Poi continuarono a litigare perché, uno dopo l’altro, deputati e senatori si dimenticavano di versare alla Casaleggio & Associati la quota di iscrizione dovuta per contratto al momento della candidatura in Parlamento. I morosi scoperti vennero perlopiù espulsi ma questo non sconfisse l’evasione dall’obolo che continuò indisturbata.

Andando avanti, scomparso il co-fondatore Gianroberto, il giovane Casaleggio ha provato ad esercitare lo stesso potere sul movimento che aveva suo padre, ma non c’è stato verso: le divergenze sono aumentate, i litigi anche, e alla fine al conto di bottega manca mezzo milione di euro che l’associazione Rousseau reclama dal M5S, ma che i grillini non hanno alcuna intenzione di scucire. Risultato: Casaleggio si rifiuta di consegnare al nuovo leader in pectore Giuseppe Conte la lista degli iscritti al movimento. Senza liste, poco si combina: non tanto per le votazioni on line sulle decisioni da prendere, chè quelle sono state abbandonate da tempo e sostituite dal «caminetto» dei capicorrente, quanto perché in vista delle elezioni amministrative di ottobre le liste sono indispensabili per cercare di mobilitare gli elettori. Con quali risultati in realtà non è chiaro, dal momento che i sondaggi restano sempre piuttosto avari. Però i nominativi servono.

E così l’avvocato Conte ora fa la voce grossa con Casaleggio minacciando la via giudiziaria. Come quella, paradossale, andata in scena a Cagliari dove il caso di una dirigente espulsa e poi rientrata ha portato i giudici a sentenziare che Vito Crimi, il reggente del movimento in assenza di leader, in realtà è (era ) un abusivo. Motivo per cui il tribunale ha incaricato un oscuro avvocato cagliaritano di reggere momentaneamente le sorti di quello che sarebbe, almeno nel Parlamento eletto nel 2018, il primo partito italiano. Se oggi, per ipotesi, ci fosse una crisi di governo, Mattarella dovrebbe convocare al Quirinale per consultazioni l’avvocato Murtas. C’è stato un momento qualche tempo fa nel quale il Pd si è molto impaurito: è stato quando Grillo ha deciso che il Movimento doveva essere affidato a Conte, rimasto disoccupato dopo le dimissioni da Palazzo Chigi. In quella fase i sondaggi davano il M5S in aumento del 5%, molto al di sopra del Pd nella fase di transizione tra Zingaretti ed Enrico Letta. Sembrava dunque che con il ritorno di Conte e il perdurare dei grillini al governo, l’elettorato potesse superare la disaffezione verso un movimento rivelatosi molto al di sotto delle (enormi) aspettative suscitate e restituirgli almeno una parte del consenso raccolto solo tre anni fa.

Però questo improvviso rigoglio del giardino pentastellato è durato poco: Conte ha cominciato a cincischiare, a prendere tempo, a baloccarsi tra le innumerevoli correnti del «suo» movimento, insomma a non prendere in mano il bastone del comando, fino al punto di apparire paralizzato nella jungla dove tutti combattono contro tutti. E così i sondaggi hanno cominciato a prendere di nuovo il verso in giù, rassicurando il Pd che invece sta guadagnando qualche frazione di punto riprendendosi il secondo posto nella graduatoria dei partiti dopo la Lega. Adesso, per il M5S, arrivano anche le dispute giudiziarie, le lotte con Casaleggio, le liti sui soldi. Una sorta di tramonto politico che neanche Conte dunque sembra in grado di affrontare mettendo in gioco il prestigio accumulato negli anni di Palazzo Chigi. Questo vuol dire che la crisi del movimento è più profonda di quanto appaia all’esterno e che la forza parlamentare risalente al 2018 è ormai un dato più formale che politico.

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