La cultura della vita richiede più impegno

ATTUALITÀ. Nel paradiso degli angeli ora c’è anche lei, la neonata appena partorita e ritrovata senza vita all’interno di un cassonetto per la raccolta di vestiti in un angolo di Milano.

Commentare notizie come questa richiede sempre un supplemento di sofferenza, perché non ci si abitua mai a una tragedia così grande, a questo spreco di infinito quale è sempre una vita in culla. I pensieri corrono veloci e disperati, quasi si perdono di fronte a ciò che poteva essere e non lo sarà mai. Al nome che non ha avuto, all’infanzia che avrebbe potuto vivere, all’affetto di due genitori, alla scuola, alle amiche, al fidanzato, alle foglie calpestate in autunno, ai tramonti dei giorni d’estate.

Perché la mamma non ce l’ha affidata? Perché? Chi l’ha costretta a nascondersi? Non sappiamo molto sulle cause della morte di questa bambina. Sappiamo solo che è uno strazio immenso, non sappiamo se è nata morta ed è stata deposta come in una tomba provvisoria in quel cassonetto della Caritas o se la madre avrebbe voluto che qualcuno la ritrovasse in quella specie di scatola di ferro dove si ammassano i vestiti. Chi di noi può immaginare il dramma che si cela dietro questa tristissima vicenda. Non ci è possibile saperlo ma tutti dovremmo essere consapevoli che c’è sempre una possibilità di vita e che nessuno dovrebbe arrogarsi il diritto di negarla.

Qualcuno ha costretto la madre a comportarsi così? Anche un criminale senza scrupoli, o anche disperato, dovrebbe fermarsi di fronte a una vita innocente. Ma così non è stato. E chissà forse anche noi non l’abbiamo protetta abbastanza. Pietà per questa bimba, pietà per la madre. Il paradosso è che il corpicino è stato depositato proprio in un cassonetto della Caritas, la struttura che più di ogni altra si batte per il sostentamento delle vite umane, per il sostegno della vita nascente e che collabora in stretto contatto con i Centri di aiuto alla vita.

La neonata, da quanto si è saputo, era visibile, come se chi l’ha lasciata volesse farla ritrovare. Era nata da poche ore e solo l’autopsia stabilirà se era nata viva o morta: aveva ancora la placenta attaccata ed era avvolta in una felpa. L’ipotesi è che la piccola sia stata partorita in casa e sia stata adagiata dopo la morte nel cassonetto.

Viene in mente la storia di Enea, il neonato affidato – non abbandonato – alla culla della vita della Mangiagalli di Milano. Un bambino che ci costringe a riflettere, ancora una volta, sui problemi inerenti al tempo della gravidanza. Solo Dio conosce il mistero di due vite parallele con sorti così diverse. Ma a noi tutti si impone l’imperativo di impegnarci per la cultura della vita.

Ancora oggi non tutti sanno che è possibile partorire in anonimato e lasciare che il neonato venga accolto in una famiglia che gli vorrà bene. La mamma di Enea merita di essere elogiata. Enea non è stato abortito. La sua mamma gli ha fatto un dono immenso. Un dono che meritano tutti i bambini del mondo.

Quello che è accaduto ieri non deve più ripetersi. Per questo è una morte che pesa sulle nostre coscienze. Comunicare a tutte le giovani madri che c’è sempre una speranza di accoglienza, che nessun neonato è destinato a vivere una vita disperata, che c’è sempre una possibilità deve divenire una priorità. I Centri di aiuto alla vita vanno potenziati e soprattutto va potenziata la comunicazione affinché tutti sappiano che nessun neonato è perduto, c’è sempre un’équipe medica pronto a salvarlo, una famiglia pronta ad accoglierlo. Lo dobbiamo a questa bimba che ora è nelle braccia di Dio.

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