La gara a destra
e il green pass

Oggi il Consiglio dei ministri non varerà l’estensione dell’obbligo del green pass per tutti i lavoratori, pubblici e privati. Si limiterà a decretarlo per i soli dipendenti della scuola, delle mense e delle Rsa. E non ci sarà alcuna riunione della «cabina di regia». Si cammina dunque coi piedi di piombo e si va avanti passo dopo passo perché la fragile tela della maggioranza non si strappi. Il problema resta l’atteggiamento della Lega e di Salvini che in tutti i modi sta cercando di limitare l’uso della certificazione verde al punto che fino a ieri sera ha lasciato la suspense sul voto finale che ci sarà oggi alla Camera sulla conversione in legge del decreto green pass: il Carroccio potrebbe astenersi, ma non è detto. Senza contare che ieri i deputati leghisti hanno votato ancora un emendamento di Fratelli d’Italia e hanno manifestato un atteggiamento assai critico in Commissione dove si sta discutendo di un altro decreto del governo sempre sulla stessa materia.

Insomma, un insieme di comportamenti che agitano gli altri partiti che sostengono il governo i quali insistono per avere da Salvini un chiarimento dalla Lega e dalla sua linea per diversi aspetti parallelo a quello dell’opposizione meloniana. Enrico Letta e Giuseppe Conte chiedono a Salvini di abbandonare ambiguità e contraddizioni, adeguandosi alla linea del governo, oppure di trarne le conseguenze e di uscire dalla maggioranza. Ma Salvini, che ha avuto un colloquio con Draghi, fa mostra di tranquillità.

La sua tattica è quella di impedire che Giorgia Meloni assuma la rappresentanza elettorale di quei settori della società italiana contrari al green pass e all’obbligo vaccinale. La gara nel centrodestra per la leadership – al di là degli abbracci a favore di fotografi e telecamere esibiti al Forum Ambrosetti di Cernobbio – si combatte ogni giorno e il terreno delle restrizioni per combattere la pandemia è attualmente il preferito dai due leader della destra.

Con la differenza che Giorgia Meloni, dall’opposizione, non ha problemi di linearità e di coerenza e ha molti margini di manovra; mentre Salvini rischia il cortocircuito tra la sua partecipazione al governo e la sua linea «movimentista». Una crisi che comincia ad agitare quei leghisti contrari ad ostacolare o rallentare il cammino del governo Draghi considerato l’unica garanzia per mantenere il passo della ripresa economica e assicurarsi i fondi europei del Pnrr.

Del resto ci sono parecchi sondaggi che testimoniano come l’elettorato leghista fatto di imprenditori del Nord, piccoli o grandi che siano, chiedono certezze per la loro attività, e il green pass e il vaccino rappresentano proprio quanto chiedono: non capiscono perché li si debba contrastare al pari di Meloni. «Perché l’appiattimento su Draghi e Pd ci fa perdere voti», è la risposta dei settori salviniani assai preoccupati dal calo elettorale della Lega (oggi a circa 14 punti dal picco toccato alle elezioni europee).

Salvini deve gestire questa non facile situazione dimostrando di avere la statura, oltre che i voti, per pretendere di essere il leader della coalizione che tutte le previsioni danno per vincente alle prossime elezioni. Il problema è proprio questo: quando si apriranno le urne? E come andrà la partita dell’elezione del Capo dello Stato in febbraio? E cosa farà Draghi, resterà a palazzo Chigi o salirà al Colle al posto di Mattarella? Tutte domande che inquietano i sonni dei leader politici. Di tutti, non certo del solo Salvini.

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