La Germania in recessione fra gli errori del passato e la concorrenza cinese

MONDO. La Germania è in recessione tecnica e l’economia stagna. Ma i profitti delle imprese sono al massimo, l’indice di Borsa per le grandi imprese Dax capitalizza come non mai, la disoccupazione è sotto zero a fronte di una ricerca disperata di manodopera. Gli emigrati sono i benvenuti.

Nel solo 2022 gli ingressi italiani in Germania erano pari a quelli siriani. Non vi è nemmeno quel calo draconiano che si prevedeva nel 2022 quando si pronosticava un 12 % in meno del Pil. Il settore auto, superata la crisi di fornitura nei microchips, ha fatto un balzo del 16%.

Il problema tedesco non è il presente. È il futuro. La sfida è restare un produttore globale. Cioè essere capaci di produrre qualità tecnologica almeno pari a quella cinese. In Germania i produttori cinesi come Byd dall’autunno 2022 hanno messo piede con auto elettriche nel segmento C a 38mila euro, prezzi inarrivabili per i concorrenti tedeschi. Ed è questo ritardo che condiziona il recupero. Ormai è accertato che la Germania diventerà il centro nella produzione dei microprocessori in Europa. Oltre agli americani anche i cinesi investono nel Paese. Per vedere gli effetti ci vuole però tempo. E nel frattempo cosa ne sarà della produzione manifatturiera tedesca? Manterrà la sua primazia economica? Il Paese paga errori di valutazione, ovvero di strategia.

Non che manchino risorse. Gli incentivi offerti dal governo americano per rilanciare il made in Usa sono più o meno gli stessi di quelli tedeschi, 380 miliardi di dollari. Ma gli americani incentivano gli investimenti in imprese americane, il governo di Berlino deve compensare la spesa energetica delle famiglie. Che è la differenza che passa tra attacco e difesa. Gli americani non hanno problemi di fornitura energetica. E questo evidenzia l’abbaglio strategico della classe dirigente tedesca. Essersi legati per almeno il 40% al gas della Russia di Putin, con l’aggravante di voler aumentare ancor di più la fornitura con il North Stream 2 nel Mar Baltico, ha del masochistico e segna la crisi di fondo della politica economica tedesca. Perché questa dipendenza dai bassi costi del gas russo ha indotto a rallentare gli investimenti nelle energie alternative sino a chiudersi anche la via d’uscita del nucleare. Che in tempi di transizione alla decarbonizzazione poteva risultare utile quantomeno nel breve periodo. Il secondo errore sta nell’ essere monosettoriale, nell’incaponirsi nel settore auto. La parte meccanica dell’auto perde la sua centralità a vantaggio di quella tecnologica e informatica. Si ha un bel dire di Industria 4.0 cioè nell’informatizzazione del processo produttivo ma se il fine è il motore a combustione, risulta evidente che non si è capito il ruolo delle rinnovabili nella mobilità.

Nell intelligenza artificiale i tedeschi sono indietro. E poi per ultimo la dipendenza dal mercato cinese. Dalla quale ci si sta lentamente emancipando con lo spostamento delle catene di fornitura globali nell’Europa dell’Est. Tutti questi errori confermano che la Germania vince le battaglie tattiche ma perde regolarmente quelle strategiche. L’Europa ha bisogno di una Germania forte ma sempre più integrata nell’Ue, capace di unire e lontana dall’eterna ambizione di imporre le sue regole agli altri.

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