La Germania vacilla
Merkel senza eredi

Anche in Germania si trema. Il terremoto delle dimissioni della presidente della Cdu Annegret Kramp Karrenbauer scuote le fondamenta della Repubblica Federale. L’erede designata di Angela Merkel non sarà la prossima candidata alla cancelleria. Il marchio di fabbrica che ha segnato la storia di questi decenni, il mito della stabilità vacilla. Akk lascia il partito, simbolo della perseveranza politica tedesca, senza guida. La causa scatenante è la Turingia. Il Land dove alle scorse elezioni AfD ha preso il 24 % dei consensi e di fatto reso impossibile la formazione di un governo. Al Parlamento regionale si è consumato il colpo di mano di un partito il cui presidente a buon ragione si può denominare fascista.

Björn Höcke può essere definito tale in forza della sentenza della magistratura. Alla luce dei risultati conseguiti non sembra che il verdetto gli abbia nuociuto. In sede di votazione per l’elezione del capo del governo regionale, Alternative für Deutschland ha, nel silenzio dell’urna, votato per il candidato liberale sostenuto anche dai cristiano-democratici. Questo ha impedito al governatore in carica Bodo Ramelow di formare un governo di minoranza con i voti di Linke, socialdemocratici e Verdi e l’astensione della Cdu. Solo così sarebbe stato possibile formare un esecutivo.

Ma i cristiano-democratici si sono ritratti e hanno votato il candidato liberale Thomas Kemmerich senza tener in conto che l’appoggio della AfD avrebbe creato una maggioranza e quindi legittimato un partito fascista al potere. Dal Sudafrica, dove Angela Merkel in quel momento si trovava in visita ufficiale, il cancelliere tuona il suo no ma è troppo tardi. Akk non è stata capace di dare una linea univoca ai dirigenti cristiano-democratici della Turingia. Dimettersi è stato un atto dovuto. Il tentativo di Angela Merkel di darsi una successione con una fidata del suo cerchio magico al femminile è quindi fallito. La portata del suo gesto va ben oltre le dinamiche interne della lotta di partito. Il fatto stesso che avvenga senza aver un piano B espone il mondo politico all’improvvisazione. Una condizione congeniale agli italiani e quindi aborrita dai tedeschi perché foriera di instabilità, il nemico numero uno della dimensione germanica del vivere. È un mondo che si muove. La socialdemocrazia ha raggiunto i limiti della sopravvivenza con risultati a una cifra. Adesso tocca all’altro grande partito di tradizione popolare. Dal 1961 al 1983 nella vecchia Repubblica Federale vi erano tre partiti, due di massa più i liberali che lottavano ad ogni elezione per la sopravvivenza del 5%. Adesso sono sei e i due grandi partiti popolari in forte regressione.

Nelle rilevazioni demoscopiche seguite alla crisi di governo di Erfurt, Alternative für Deutschland doppia la Cdu, la Spd va al lumicino e la Linke viaggia oltre il 31% guadagnato alle elezioni in Turingia. Tengono i Verdi ma non compensano le perdite dei cristiano-democratici. Il centro è in dissoluzione. È l’ansia del momento ma la tendenza è chiara, si va verso l’estremizzazione. Una condizione che riporta alla Repubblica di Weimar ricordata con angoscia dall’ex ministro degli Interni al tempo della Raf, le Brigate rosse tedesche, il liberale Gerhart Baum. Uno che di estremismo se ne intende. Da tempo Schäuble, la mente pensante della Cdu, invoca la discesa in campo di Friedrich Merz, uomo più del passato che del presente ma in grado di interpretare il disagio dell’elettorato cristiano-democratico, che non va dimenticato è fatto per lo più di anziani. Quelli che si sentono scavalcati dal cambiamento, usurpati dagli emigrati nelle loro certezze e sono viziati da laute pensioni e stipendi. Il futuro della Germania non è il loro ma lo tengono in ostaggio.

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