La giustizia, linea guida per il futuro dell’Africa

Chiesa. Ha confermato che lui non intende gettare la spugna, né rinunciare ad una valutazione del mondo, delle sue politiche e delle sue economie dissennate. Nel terzo viaggio africano, Jorge Mario Bergoglio ha inchiodato tutti davanti alle proprie colpe.

Ed è magistralmente riuscito a mettere ognuno davanti alla responsabilità di assumersi le proprie responsabilità. Vale per gli scaltri rapinatori del mondo ricco e per gli africani che si accordano con loro alimentando il nuovo colonialismo. Perché se c’è un corrotto in cima alla filiera, c’è un corruttore e ciò che si perde da entrambe le parti è il senso morale della giustizia, della condivisione e dello scrupolo nella valutazione delle imprese personali e collettive. Francesco in Congo e in Sud Sudan, Paesi simbolo del fallimento delle classi dirigenti locali e dell’arroganza di quell’io globale che ha rinunciato da tempo alla valutazione morale delle proprie azioni, è andato per dire che un cambio di mentalità si può sperimentare se si cambiano le relazioni umane.

Il concetto attorno al quale il Papa ha progettato la missione africana è stato quello di giustizia. Ma Francesco si è tenuto lontano dalle suggestioni terzomondiste, per cui tutte le colpe sono dell’Occidente. La sola critica al capitalismo distruttivo e alla rapina globale delle materie prime non è sufficiente per spiegare i guai. Il Papa ha messo in fila in maniera ineccepibile la denuncia delle logiche del liberalismo canaglia con l’indicazione di un metodo per cambiare le cose che deve partire dal disarmo delle coscienze bellicose e dall’autoritarismo di leader e di istituzioni nazionali e sovranazionali, che utilizzano standard etici che di solito inibiscono la coscienza dall’occuparsi della giustizia.

Non bastano insomma le buone pratiche, un po’ di cooperazione e di elemosina, ornate di emozione per i bambini malnutriti. Francesco in Africa è andato per dettare un’altra lezione, pesante, fastidiosa ai più, impegnativa e alternativa al codice etico buonista che allevia i rimorsi della coscienza di persone e governi. Ha conficcato al centro dei suoi ragionamenti una citazione di Sant’Agostino presa dal De Civitate Dei, il primo grande saggio di teologia della storia: «Se non è rispettata la giustizia che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?». Tenendo presente questa citazione va letto l’intero viaggio.

Non rispetta la giustizia il potere onnivoro di controllo di tutte le risorse energetiche nelle mani di un pugno di nazioni. Non rispetta la giustizia il potere finanziario invasivo che ha acuito a dismisura l’esosità di speculatori e multinazionali del business delle materie prime. E nemmeno rispettano la giustizia quei leader che consapevolmente si arricchiscono sulla pelle dei propri concittadini deprivandoli non solo di denaro e di cibo, ma anche di istruzione, sanità e di opportunità, di pace, perché la povertà non è solo questione di reddito. Francesco si è spinto fino a dettare l’agenda politica con l’indicazione di una globalizzazione multilaterale, che funziona se ognuno ha un suo posto nelle tante facce della casa comune, invece di una globalizzazione multipolare, costruita sulla logica dell’indifferenza per le relazioni umane, dove conta la scaltrezza e la velocità del predatore.

E ha sollecitato gli africani a rottamare l’attuale classe dirigente complice del neocolonalismo, puntando su donne, giovani, su chi sta ai margini e oggi è costretto dall’ingiustizia ad emigrare. Saranno le loro mani, quelle che ha chiesto ai giovani di alzare al cielo nello stadio di Kinshasa, che potranno sottrarre l’Africa dal disordine mondiale.

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