La Lega Nazionale
e i malumori del Nord

I sondaggi sono impietosi. Dopo esser riuscito nell’impresa impossibile di portare la Lega ad occupare il podio di primo partito d’Italia, Salvini ha innestato la retromarcia che non si è ancora arrestata. I dati demoscopici fotografano del resto fedelmente un sentiment assai diffuso. Il capo dei Lumbard non mostra più quella forma smagliante, quel piglio vincente che proprio un anno fa lo aveva portato ad un passo dal conquistare, oltre alla leadership del centrodestra, anche la premiership del Paese. Le ragioni di questo arretramento sono molteplici.

Innanzitutto, il carattere del personaggio, perfettamente a suo agio quando s’immerge nei suoi prediletti bagni di folla, a disagio invece quando deve indossare il doppiopetto istituzionale. È intervenuto poi l’azzardo di puntare tutto sulla caduta del Conte bis e su elezioni anticipate. In terzo luogo, ha pesato il cambio repentino dello scenario politico consumatosi con il deflagrare del Covid-19 che ha messo in quarantena il Paese. Ne ha fatto le spese la sua tattica, tutta incentrata sulle parole d’ordine: sicurezza e contrasto dell’immigrazione. C’è da mettere in conto inoltre il fuorigioco comminato dalla crisi economica a carico del sovranismo e dell’euroscetticismo. E ancora: ha influito negativamente il difetto di flessibilità politica della sua leadership al cambio di scenario.

Il risultato è che Salvini non è riuscito a concludere con successo l’Opa lanciata sulla destra e al contempo si vede bloccato nella sua marcia verso il centro. Tallonato dalla Meloni nel campo conservatore, si ritrova contrastato da Berlusconi in quello dei moderati. Una situazione d’impasse, questa, che comincia a suscitare disagio e qualche malumore anche nel suo partito. Giorgetti tiene la bocca cucita ma non è un mistero per nessuno che non è d’accordo col suo capo. Zaia non manifesta alcun dissenso ma fa cose diverse da Salvini e la sua popolarità cresce. Nessuno, va detto, insidia la leadership del gran capo. Con i risultati elettorali che vanta, chi può pensare di sfidarlo? Quel che non fanno i dirigenti di partito, tuttavia, può farlo l’evoluzione del quadro politico. Tra poco più di un mese si tengono le elezioni regionali. Salvini gioca le sue chance in una sola Regione, la Toscana, dove corre l’unica candidata leghista in campo, Susanna Ceccardi. Non riuscisse come la Borgognoni in Emilia-Romagna e in contemporanea prevalessero i candidati della Meloni in Puglia e Marche, la sua leadership a destra barcollerebbe non poco.

È al Nord comunque che Salvini deve guardare con maggiore apprensione. Non è un caso che le fibrillazioni, i distinguo, le insidie alla sua posizione di capo indiscusso della Lega si annidino in Lombardia e Veneto. Qui il fu partito dei Lumbard è nato, e qui continua ad avere il suo scrigno elettorale. Qui il suo popolo, fatto di lavoratori (prevalentemente del settore privato), di artigiani, di commercianti e d’imprenditori mastica amaro nel vedere che la Lega, per coltivare l’ambizione di sfondare anche al Sud, concede troppo all’assistenzialismo e non si cura invece, come dovrebbe, della promozione del lavoro e della crescita. È ormai un trentennio che il divario tra Settentrione e Mezzogiorno non accenna a fermarsi. Fino ad oggi le differenze si consumavano sul terreno economico. Più di un indizio fa pensare che il gap si stia consolidando anche a livello culturale, con forti implicazioni politiche. La Lega faticherebbe non poco, in questo malaugurato caso, a contenere le spinte autonomiste, forse addirittura secessioniste del Nord, oggi dormienti, ma mai davvero rientrate.

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