La Lega perde il territorio e cambiano gli equilibri

Non è la prima volta che le Lega va sulle montagne russe. Del consenso elettorale, ovviamente. La storia del Carroccio nella Bergamasca è fatta di alti (molto alti), come nelle Europee del 2019 o nelle mitiche Politiche del 2016 quando mandò a Roma 11 parlamentari su 13, e anche di fragorosi tonfi. Ma questa volta il crollo del Carroccio - che era nell’aria, inutile negarlo - è molto più complesso del solito. Soprattutto perché porta con sé un capovolgimento inedito dei rapporti di forza interni al centrodestra.

Fino a domenica tutto si è sempre giocato su un’alternanza quasi controllata tra Lega e Forza Italia, con Fratelli d’Italia nei panni dei parenti poveri. Poi la scelta di Giorgia Meloni di stare all’opposizione del governo Draghi ha ribaltato il tavolo, consegnando le chiavi del centrodestra alla sua parte più a destra. Ennio Flaiano diceva che gli italiani sono bravissimi a correre in soccorso del vincitore. Basta questo a spiegare un dato così negativo per Salvini e i suoi anche (o soprattutto?) in una roccaforte come Bergamo, magari non ai livelli del passato ma comunque sempre a forte trazione leghista? Evidentemente no, e molto probabilmente le ragioni di questa débâcle (perché dimezzare i voti questo vuole dire) vanno ritrovate anche in quello che in passato era un punto di forza: il territorio.

Può sembrare paradossale per un movimento che ha sempre fatto del radicamento la propria forza, eppure è dal 2016 che la Lega non celebra un congresso provinciale e per un partito che è sempre cresciuto dal basso (spesso con assise al calor bianco) non è un dettaglio da poco. Né si può far finta di niente davanti a commissariamenti e nomine calate dall’alto. Già nel 2019 la Lega, forte tra l’altro di un consenso monstre alle contemporanee Europee, aveva praticamente sbagliato tutto quello che c’era da sbagliare nella sfida a Giorgio Gori a Palafrizzoni: dopo 3 anni non è cambiato nulla, anzi il clima interno si è esacerbato in conseguenza del taglio dei parlamentari, quello esterno per l’appoggio a Draghi.

Ne ha beneficiato in modo incredibile FdI che di botto è diventato il primo partito pure nella Bergamasca, con tutte le incognite del caso. A cominciare dall’organizzazione territoriale e una classe dirigente chiamata a misurarsi con la gestione (e le sfide) di un consenso improvvisamente così elevato. Con le Regionali praticamente alle porte e il 2024 - anno del rinnovo di Palafrizzoni - pure, ma anche la necessità di fare un minimo di selezione all’ingresso per evitare assalti alla diligenza.

Di certo la corsa a Palazzo Lombardia sarà il primo banco di prova per il nuovo assetto del centrodestra, dove la ricandidatura di Attilio Fontana ora è tutto tranne che scontata. Tanto più con una Letizia Moratti alle porte e in ottimi rapporti proprio con i meloniani. Magra consolazione, dalle parti del centrosinistra non solo devono ancora trovare il candidato, ma l’esito delle urne conduce inevitabilmente a una resa dei conti che avrà ripercussioni a tutti i livelli.

Sullo sfondo il risultato del terzo polo che in Lombardia (e a Bergamo) è così positivo da diventare un punto fermo nella sfida a Fdi, Lega e azzurri che puntano alla riconferma in Regione e alla riconquista di Brescia e Bergamo. Numeri alla mano è pure la sola strada praticabile: per nulla facile, ma non percorrerla potrebbe rivelarsi un assist fenomenale per un centrodestra che di problemi ne ha più di uno. Ma anche i voti, tanti.

Nel frattempo, a fronte di un taglio di un terzo dei parlamentari, la pattuglia bergamasca è quasi dimezzata rispetto al 2018. E qui purtroppo i conti non tornano, come questa legge elettorale che tra algoritmi ed effetto flipper è degna di un alchimista. Fatta per non capire.

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