La legge «bavaglio»: le garanzie e i rischi

MASS MEDIA. Si mette male per il diritto di cronaca. Se dovesse passare la legge - già approvata alla Camera - che impone di non pubblicizzare le ordinanze che dispongono l’arresto fino all’udienza preliminare, calerebbe il buio sulle indagini, verrebbe negata all’opinione pubblica la facoltà di essere informati e di farsi un’idea precisa sui fatti.

Proprio per questo i giornalisti sono sul piede di guerra ma non è una difesa della categoria. L’esercizio dell’azione penale e gli indizi a carico di un sospettato verrebbero sottratti alla conoscenza comune. I cronisti dovranno accontentarsi di raccontare le operazioni di polizia affidandosi alle ricostruzioni di accusa e difesa, senza però partire da un testo chiave, l’ordinanza appunto, che permette di comprendere gli indizi, le testimonianze, gli interrogatori, le intercettazioni, i nomi delle persone coinvolte e i ragionamenti di un giudice - terzo - che sulla base di quel materiale probatorio ordina gli arresti. Tutto sarà segreto. Fino al processo. La gente saprà poco e male, come quando apprende i fatti dal passaparola. È questo che vogliamo nel 2024?

Le ordinanze di custodia cautelare sono un documento prezioso per i cronisti e anche uno strumento a difesa delle persone offese, oltre che di garanzia degli stessi indagati. Permettono di venire a conoscenza delle circostanze che hanno portato all’arresto. In questo modo la stampa, oltre a diffondere delle notizie, fa un’opera di controllo delle circostanze descritte nell’ordinanza attraverso verifiche, contro-inchieste, interviste, testimonianze. Quanti giornalisti hanno dimostrato l’innocenza di un imputato? Accade, forse troppo poco sovente, ma accade. Ma è proprio questo che distingue il giornalismo dalla pedissequa «copisteria» giudiziaria. Si dirà che c’è il rischio di sbattere il mostro in prima pagina, ma le leggi vigenti impediscono già ampiamente questo pericolo purtroppo sempre presente: chi lo fa rischia la radiazione dall’Albo dei giornalisti, multe salatissime, addirittura sanzioni penali. Ma con quale motivazione si vieta di pubblicare anche solo stralci delle ordinanze? La presunzione di innocenza spiegano i propugnatori della legge. In realtà sembra più costituire una pesante limitazione al diritto di cronaca. In questo modo calerà il velo su indagini di ogni tipo: appalti truccati, omicidi, rapine, inchiesta di mafia, politici corrotti. Su tutto questo si impedisce di avere un pensiero critico, libero, cosciente, consapevole, garantista. Che ne sarebbe dell’inchiesta Mani Pulite se ci fosse stata una legge simile? Avremmo saputo degli arresti mesi e mesi dopo. Non avremmo potuto fotografare l’arresto di un indagato trascinato con gli schiavettoni (poi assolto con formula piena).

Rendere pubblici gli arresti (ma non l’operazione dell’arresto in sé, come è stato fatto ad esempio con Enzo Tortora, esposto al pubblico ludibrio) è un atto di garantismo, a cominciare dalla persona arrestata. Non si può delegare ai soli magistrati la comunicazione di un arresto. La gestione dei vertici di Autostrade svelata dopo il crollo del ponte Morandi con le sue 43 vittime. Lo schianto della funivia del Mottarone. E poi decine di femminicidi, come quelli di Giulia Cecchettin e di Giulia Tramontano. L’arresto dei complici di Matteo Messina Denaro. È lungo l’elenco delle vicende di cronaca giudiziaria che i giornali non avrebbero potuto raccontare con la legge «bavaglio». Se la legge passerà d’ora in avanti sapremo qualcosa quando è passato tanto, troppo tempo. Perché un giornalismo libero - nel rispetto della dignità della persona coinvolta - è obbligato a dare conto delle ragioni per cui un cittadino viene privato della libertà personale.

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