La nascita protetta
un segno di speranza

«Un abbraccio materno artificiale», «una culla che parla». Le parole seguono il tempo ma esprimono una sostanza antica: l’idea di dare una possibilità di vita per chiunque nasce, anche se la nascita avviene in condizioni di disperata marginalità sociale. Parole moderne che aggiornano uno strumento antico. Non c’è città italiana che non abbia memoria della «ruota degli esposti»: il luogo dove la madre che non era in condizioni di far crescere il figlio poteva lasciarlo nella certezza che ci sarebbe stato chi si sarebbe preso cura di lui o di lei.

È un meccanismo semplice e dettato da un’attenzione umana che commuove. La ruota che gira, come oggi la culla che si chiude da una parte e si riapre dall’altra, sono concepite per garantire la riservatezza di un gesto così doloroso per chi si trova costretto a compierlo. La ruota gira, dando un’altra chance alla vita. Nella più celebre tra tutte le ruote, quella dell’ospedale degli Innocenti a Firenze, il genio di Brunelleschi aveva voluto che il punto di fuga prospettico del suo meraviglioso portico coincidesse proprio con quella porta girevole: una affermazione della grande dignità assegnata a una istituzione che mette al centro la vita più fragile.

Se il punto di fuga coincide con l’infinito, significa che questo infinito nella visione espressa da un genio (ma era una visione condivisa da tutta una comunità) trova la sua incarnazione là dove nessuno avrebbe pensato: nei bambini nati nella più estrema povertà materiale. Siamo alla vigilia del Natale e questo fa capire quale sia stato il salto di civiltà portato dal cristianesimo: fondare la speranza della salvezza e anche di un giusto assetto sociale nella cosa più fragile del mondo, la vita di un bambino nato senza neanche un tetto sopra la testa. Non è un caso che sia stato proprio il primo imperatore convertito al cristianesimo, cioè Costantino, il primo a introdurre misure per accogliere l’infanzia abbandonata.

Sottolineiamo questo perché quanto deciso a Bergamo, cioè il continuare a investire nella «culla della vita» portandola dopo 12 anni di esperienza presso le suore del Mater Domini, ora alla Croce Rossa nel quartiere di Loreto va nella stessa direzione di quanto fin qui detto. Ovviamente i tempi sono cambiati e certamente il senso di questo semplice contenitore non è destinato ad avere i numeri che aveva nella storia passata. Giustamente non viene reso noto quante siano le mamme o i papà che ne abbiano fatto ricorso, anche perché il senso della culla sta nel semplice fatto di offrirsi come possibilità. Anzi l’augurio che ci si fa è che nessuno debba aprire quella culla. Che è quindi innanzitutto un segno di speranza per chiunque si trovi in quell’angoscia per un figlio a cui sa di non poter garantire condizioni di vita degne ma che ugualmente sa di poter contare su un luogo pensato per ascoltare, sostenere, accogliere.

La culla per la vita è anche un segno a tutta quella città, cioè noi, che non ne avrà mai bisogno: è un segno infatti che mette al centro il tema decisivo della natalità.

Siamo in una stagione drammatica di «culle vuote», che determinano una crisi demografica che ogni anno ci consegna numeri sempre più inquietanti. Simbolicamente questa culla dunque parla alla coscienza collettiva, per far capire come la nuova vita sia il patrimonio più prezioso attorno a cui una comunità può crescere e progettare il proprio futuro. Che una civiltà a cui sembra non mancare niente dimentichi questo dato fondamentale è una questione grave con cui si deve finalmente iniziare a fare i conti.

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