La normalità
ritorna piano

La data dell’ottimismo è il 26 aprile, quasi un secondo «25 aprile». Quel giorno l’Italia potrebbe cautamente voltare pagina. Nella conferenza stampa di ieri il premier Mario Draghi ha annunciato che all’indomani della festività della Liberazione (si spera l’ultima festività in lockdown) il Paese tornerà alla zona gialla, quella che prevede tra l’altro la graduale e articolata apertura delle attività commerciali e di ristorazione. Potremo andare a cena nei ristoranti la sera, ma solo quelli con i tavolini all’aperto perché è dimostrato su basi epidemiologiche che gli spazi esterni rendono più difficile il contagio del virus. Buone notizie anche per otto milioni e mezzo di studenti: nelle zone arancione le scuole riapriranno in presenza al cento per cento. Si tratta di decisioni prese non certo sull’onda delle proteste degli ultimi giorni o delle prese di posizione di molti esponenti di partiti politici ma degli ultimi dati scientifici sulla pandemia che vedono la curva del contagio in lenta ma continua decrescita (ma i dati sulle vittime sono ancora terribili).

Dal primo maggio ripartiranno anche le attività sportive come il calcetto e si potrà persino tornare negli stadi con una capienza massima di mille persone. Poi, a poco a poco, se la curva continua a scendere e le vaccinazioni proseguiranno secondo il ruolino di marcia stabilito dal generale Figliuolo in base all’arrivo dei sieri e della campagna di vaccinazione approntata su scala nazionale, il Paese si dischiuderà come un guscio: da metà maggio riapriranno anche le piscine all’aperto e dal primo giugno alcune attività legate alle palestre. Torneremo a muoverci, in tutti i sensi: l’anelata possibilità di viaggiare tra le Regioni dovrebbe partire dal 17 maggio.

La novità assoluta di ieri è quella di un «pass» in grado di farci attraversare le regioni con colori diversi. Dal primo luglio riprendono addirittura le attività fieristiche e ci sono buone notizie anche per i teatri e i cinema all’aperto, che, come ha detto il ministro Franceschini, potranno tornare in attività già dal 26 aprile anche se a determinate e (stringenti) condizioni. Di più non si poteva fare in un Paese che ancora non è assolutamente uscito dal tunnel come Israele e nemmeno si prepara a uscirne come l’Inghilterra. I rischi sono ancora enormi e le terapie intensive (in lieve calo) stanno lì a dimostrarlo.

Naturalmente la condizione è che gli italiani rispettino le misure di protezione e di distanziamento, come la mascherina. Quello che rende ottimista Draghi è la campagna delle vaccinazioni, tutte le altre possibilità, dal lockdown alle terapie, non ci permettono ancora di abbassare la guardia: i sieri sono l’unica strada sicura che può portarci fuori dall’incubo del Covid. Il premier continua a basarsi su un concetto fondamentale nella politica di gestione dell’emergenza: solo la lotta al contagio ci permetterà di far ripartire le attività economiche e di accelerare sul terreno della ripresa, in un contesto completamente epocale che probabilmente ci vedrà costretti a vaccinarci ogni anno per affrontare le varianti scaturite da questo morbo infernale.

Altri Paesi che hanno puntato sul contrario, come il Brasile, si sono trasformati in un inferno, come leggiamo nelle terrificanti cronache di questi giorni dal Sud America. Il governo ritiene di vaccinare l’80 per cento degli italiani entro autunno raggiungendo la ormai anelata immunità di gregge. Non ci resta che sperare che tutto ciò sia possibile. Poiché a dettare l’agenda delle riaperture non è la crisi economica ma è la lotta al virus.

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