La nuova Carrara, strategie di rilancio

Il commento. «Bergamo deve dimostrare ogni giorno di meritarti». Otto anni fa l’editoriale per la riapertura dell’Accademia Carrara terminava così, con queste parole. Erano i giorni di una bellissima primavera e la riapertura di quella che è la più importante raccolta civica del Belpaese salutata con tanto entusiasmo e le migliori intenzioni del caso. Del resto la Pinacoteca era chiusa dal giugno 2008, una cosa al limite dell’assurdo solo a ripensarci.

Dopo altri 8 anni e una ridefinizione degli spazi (si spera se non definitiva quantomeno risolutiva) siamo di fronte a una nuova ripartenza, attesa con molta curiosità a giudicare dalla risposta dei bergamaschi desiderosi di riabbracciare un pezzo della loro storia. Ora però (ri)comincia il bello: riaperte le porte e in attesa degli ultimi lavori che forse più di ogni allestimento o sistemazione allegorica (vedi scale) daranno la cifra di questa nuova versione della Carrara soprattutto sul versante dei servizi, accessori e non, è quanto meno necessario un confronto sul rapporto con la città e soprattutto sulla sua valorizzazione all’interno di essa e della sua proposta artistico-culturale. E perché no, anche commerciale. Inutile scandalizzarsi o fare finta che questo tema non sia all’ordine del giorno per un museo che ha davanti a sé l’ambizioso obiettivo di dare un futuro alla propria storia.

Qui per essere franchi serve il contributo e la buona volontà di tutti: si può (si deve) discutere di tutto, rapporti tra pubblico e privati compresi, evitando però di cadere nel tranello di chi «continuerà ad indicare quello che manca invece che rimanere incantato davanti a ciò che c’è: a chi non ha l’orgoglio di dire che la Carrara è anche sua, quelli che non si mettono in gioco mai perché così vincono sempre». Sono ancora le testuali parole usate 8 anni orsono e quanto mai attuali oggi. Inutile negare che il riallestimento appena inaugurato non sia solo frutto delle mutate condizioni e di un museo che, come materia viva, debba continuamente mutare, bensì anche di valutazioni errate che ci siamo trascinati da ben prima della riapertura del 2015. Quando a un certo punto si doveva comunque mettere la parola «fine» a uno stallo durato la bellezza di 7 anni, condizione che ha inevitabilmente portato a degli errori di impostazione e che ci si augura di non ripetere.

Meglio semmai concentrarci ora sul futuro di questa prestigiosa (sì, molto) istituzione museale che conserva capolavori di Pisanello, Tiziano, Lotto, Botticelli, Raffaello, Pellizza da Volpedo e una sala del Moroni che da sola vale la visita per la sua indescrivibile bellezza. Ecco, magari ogni tanto facciamo mente locale e ripetiamoli quei nomi per ricordarci cosa c’è al di là del cancello di piazza Carrara. Prima della chiusura del 2008 la Pinacoteca faceva 25mila visitatori l’anno, un numero oggettivamente ridicolo per i capolavori in mostra: l’ultimo dato prima del riallestimento dice di 60-62mila presenze. Il miglioramento è evidente come il fatto che non basta e non può bastare.

La Carrara per diventare davvero grande ha bisogno di più, di una strategia che la metta al centro dell’offerta culturale della città, farla cioè diventare uno dei motivi principali (e non incidentali) per cui un visitatore decida di venire a Bergamo e, meglio ancora, fermarsi. Vero, non è in Città Alta e quindi sui percorsi tradizionalmente battuti dai turisti, ma non è un buon motivo per non uscire dagli schemi e immaginarne di nuovi: la Carrara restando ferma al suo posto si avvia ad essere al centro di un nuovo polo cittadino che va dalla Montelungo alla futura Gamec con il centro a pochi passi. Ha contenuti e ora anche un contenitore rinnovato: non piacerà a tutti ma è nella logica delle cose. Come il fatto che ora serva qualcosa di più e forse anche di diverso rispetto al passato per valorizzarla adeguatamente, perché non si può pensare di ottenere risultati nuovi con strategie che non cambiano

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