La pandemia e il lavoro
Indietro non si torna

Il Covid 19 è l’estremizzazione epidemica della globalizzazione. Nella sua invasività la pandemia mette a nudo le fragilità di un sistema fondato sulla dimensione finanziaria dell’economia. Il capitalismo come sinora conosciuto sta cambiando pelle. Non contano più solo i soldi. Klaus Schwab, fondatore del World Economic Forum dal suo osservatorio di Davos osserva che troppo forte è il cambiamento in atto per pensare di poter tornare al mondo pre Covid. Il mutamento climatico è una realtà. Gli effetti della siccità creano incendi in varie parti del mondo, Australia e California in primo luogo, ma anche in Paesi come la Germania la morìa di parti consistenti di boschi è un dato di fatto. Poi ci sono i tornado sempre più frequenti e le bombe d’acqua anche in territori sinora esclusi da violente precipitazioni.

Le persone percepiscono il pericolo e vogliono comportamenti conseguenti soprattutto da chi ha contribuito nel passato allo sfruttamento del pianeta. Per le imprese vuol dire dimostrare di essere in sintonia con la protezione dell’ambiente. Se l’azienda non è ecosostenibile perde attrazione e viene relegata nella categoria dei fuori tempo. Valga per tutti la mobilità su strada. Nella patria dell’automobile, in Germania, è un americano l’icona del momento. Elon Musk di Tesla non produce macchine migliori ma è il precursore dell’elettrico.

Tutti sanno che se il parco automobili mondiale fosse a trazione elettrica non basterebbero le centrali elettriche attualmente in funzione per sostenerlo. E tuttavia la voglia di cambiamento è tale che le eccellenze tedesche da agognato oggetto dei desideri si sono trasformate in testimoni del passato. Gli azzardi di un visionario sono più convincenti della migliore tecnologia motoristica esistente. A Wolfsburg, Stoccarda producono auto diesel e tanto basta per certificarne il ritardo.

L’altra sfida è quella sociale. I dati ci dicono che il futuro è già presente. Una indagine demoscopica della Ihk, camera di commercio tedesca, rileva che solo il 24,9% degli imprenditori è per il lavoro in presenza. Circa il 50% è per l’alternanza in presenza e da remoto. I grandi gruppi bancari e finanziari si sono già mossi in tal senso.

Sergio Ermotti, Ceo della svizzera Ubs, ha confermato che il 20% del personale, costretto dalla pandemia ad operare in home office continuerà in questa modalità. E del resto anche sul piano industriale le frontiere che si offrono con il virtuale fanno sì che anche un costruttore meccanico possa lavorare da remoto come se fosse in officina. Con gli occhiali Vr (Virtual Reality) l’Università di Stoccarda offre una piattaforma software che permette di operare come se si fosse sul posto. Un altro software denominato Covis offre la possibilità di incontrarsi in versione tridimensionale e di simulare in termini virtuali le riunioni in presenza. Conquiste tecnologiche che preesistevano al Covid 19, ma la pandemia ne ha accelerato l’uso. Tutto questo ha un costo sociale. Si chiama mobilità e vuol dire che l’occupazione può cambiare ma al lavoratore si devono offrire aggiornamento e possibilità di acquisire le nuove abilità.

Confindustria valuta nel triennio 2019-2021 che su 200 mila posizioni un terzo rimane inevaso per mancanza di personale qualificato. Ed è qui che subentra la terza dimensione: le risorse umane. Senza capacità di ricerca non si avanza nel settore tecnologico e quindi produttivo. La scuola e l’università diventano quindi strategiche. Non solo. L’azienda deve saper coltivare i suoi talenti e quindi offrire una dimensione di vita che tenga conto della dimensione umana e della centralità della persona. E questa è di certo la sfida più difficile.

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