La partita finale
sulla legge elettorale

A ben guardare, ciò che sta accadendo intorno alla riforma elettorale
è una sorta di partita finale nell’interminabile transizione italiana tra schieramenti opposti: da una parte i maggioritari e dall’altra
i proporzionalisti. Col referendum depositato dalla Lega (e su cui si attende per oggi, con un lieve rinvio, la sentenza della Corte Costituzionale) si punta a trasformare il sistema vigente, il cosiddetto e infelice «Rosatellum», un misto di proporzionale e maggioritario in un meccanismo totalmente maggioritario: come in Inghilterra, conquista il seggio anche chi prende un solo voto in più nel singolo collegio. Viceversa, il disegno di legge su cui si sta asserragliando la maggioranza giallo-rossa che propone un sistema denominato «Germanicum» perché ricalcato sul modello tedesco, ci fa tornare al proporzionale della prima Repubblica con la sola differenza di uno sbarramento piuttosto alto al 5%.

Da una parte maggioritario, dall’altro proporzionale. Senza mezze misure, senza le tante mezze misure che si sono sperimentate nelle nove leggi elettorali (record mondiale) di questi trent’anni, dal Mattarellum a oggi. Ognuno, quando ha potuto, ha provato a fare la legge elettorale più favorevole ai propri interessi: lo fece il centrodestra con il Porcellum, lo fece Renzi con l’Italicum, lo ha fatto il centrosinistra con il Rosatellum - e così si è dato vita a una giostra di leggi così vorticosa da sconcertare l’elettorato e indurlo alla disaffezione.

I due progetti che sono ora sul tappeto non vengono meno a questa regola, ma almeno lo fanno sulla base di una chiarezza: maggioritari da una parte, proporzionalisti dall’altra, senza cercare compromessi. Ora, il maggioritario è un sistema che premia il partito forte e la coalizione più coesa: si presentano in tutti i collegi con il peso del loro consenso e vincono a mani basse. La maggioranza che si crea in Parlamento è schiacciante e chiara, il governo si fa in quattro e quattr’otto, e lo stesso potere discrezionale del presidente della Repubblica ne risulta molto ridotto. Un sistema perfetto per un partito come la Lega che supera il trenta per cento dei voti, e per una coalizione di centrodestra già in piedi che sfiora il 50 per cento. Agli altri rimarrebbe ben poco da spartirsi. Si capisce perché la Lega chieda un referendum di questo tipo.

Al contrario, il ritorno al proporzionale, riapre i giochi e non concede ai più forti il vantaggio del maggioritario. In ogni collegio ogni partito prende la sua quota di seggi sulla base dei voti che riceve, poi si fanno i conti. La coalizione di governo nasce dopo il voto, in Parlamento, con trattative tra i partiti: esito più incerto, tempi sicuramente più lunghi. Insomma, come ai tempi della Dc e dei suoi alleati. Sistema azzeccatissimo per ridimensionare la vittoria elettorale che Matteo Salvini si aspetta e per dar modo alle varie anime della sinistra, compreso il M5S o ciò che ne resterà dopo le elezioni, di lavorare alla costruzione di una coalizione alternativa con un unico candidato alla guida del governo.

Questo è lo stato della partita. Con una aggiunta. Se la maggioranza giallo-rossa deposita il disegno di legge di riforma proporzionalista della legge elettorale vigente, e questo viene messo all’ordine del giorno del Parlamento, è difficile che la Corte Costituzionale dia il via libera al referendum leghista: e questo per rispetto del Parlamento, che rappresenta il popolo sovrano, che ha dimostrato di voler mettere mano per via legislativa alla legge che il referendum vorrebbe modificare. Ecco perché, si dice, Pd e M5S si sono sbrigati a scrivere il testo del «Germanicum»: per disinnescare il referendum leghista, rendere ininfluente la sentenza della Corte e tagliare la strada al maggioritario. In ogni caso vedremo oggi cosa accadrà e come potremo presagire il futuro della legislatura a partire proprio dal sistema di voto.

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