La passione per il calcio e le priorità da tutelare

CALCIO. L’importante, alla fine, è sempre e solo una cosa: che non venga giù tutto. Che il circo del calcio stia su, anche se fragile come un edificio malmesso, imbalsamato da impalcature di bambù non proprio diritte.

Il mondo del calcio è un po’ questo: una stanza malridotta, con amministratori che oltre il proprio ombelico faticano a mettere a fuoco, scope in ogni angolo per spingere lo sporco sotto il tappeto, sorridere agli obiettivi e dire al popolo che bisogna solo star tranquilli, comprare questo, spendere per l’altro, e via così. La vicenda delle scommesse che sta scuotendo il calcio è ormai datata qualche giorno. Durata dell’indignazione popolare: meno di quella di un mezzo litro di latte appena munto sotto il sole del Sahara. Dal momento successivo è scattata la protezione collettiva del fenomeno: su il tappeto, colpo di scopa, gli scommettitori da «rei» diventano vittime, è un gioco da ragazzi.

Protagonista principe, il presidente della Federcalcio, quello ormai celebre perché a procedimenti in corso definì la «Juventus un brand da tutelare». Dichiarazione quantomeno discutibile, proprio mentre nei tribunali si discuteva il destino della Juventus dentro la vicenda delle plusvalenze. Ora, mentre l’inchiesta sulle scommesse è solamente ai primi passi, se ne esce con un accoratissimo appello perché «questi ragazzi non sono carne da macello, non vanno abbandonati». Fermo restando che un calciatore che cade come minimo cade in piedi, in entrambe le circostanze dal massimo dirigente del calcio italiano sarebbe stato lecito attendersi anche un appello a due cose basilari: il rispetto delle regole in primis, e degli appassionati altrettanto in primis.

Perché quel che alla fine emerge è proprio questo: non c’è mai la vera intenzione di salvare il calcio «per la via lunga», cioè ripulendolo dai comportamenti scorretti. Si preferisce sempre il colpo di scopa, la spolveratina che mette a tacere il problema, che fa arrivare a domani, che tanto poi si gioca e la gente davanti alla palla in campo si scorda tutto.

Non è esattamente così vero. Abbiamo pubblicato su Corner nei giorni scorsi un approfondimento di Enrico Mazza sui dati che meglio di tutti fanno da termometro sulla salute del calcio: gli ingressi negli stadi in termini di abbonamenti e le sottoscrizioni ai pacchetti delle tv a pagamento. I primi aumentano, perché specie dopo il Covid c’è un ritorno alla voglia di condividere e vivere la partita dal vivo, insieme ad altri. I secondi calano. E non calano in termini proporzionali all’aumento delle presenze sugli spalti. La sensazione è che calino di più: il che significa che le politiche dei prezzi praticate in questi anni, unite ai disservizi tecnici, unite alla perdita di credibilità complessiva del calcio italiano (solo negli ultimi 20 anni: scandalo passaporti falsi; società semi-fallite salvate per decreto con situazioni debitorie verso il fisco spalmate nei secoli dei secoli; Calciopoli; Calcioscommesse; plusvalenze fittizie e ora le ultime scommesse), significa che tutto questo sta allontanando la gente, sta allentando la presa della passione. Ma la gente, evidentemente, non è un brand da tutelare.

Lo juventino Fagioli, dopo il patteggiamento lampo che ha previsto tra l’altro che lui (lui!) dovrà parlare alle scuole calcio, ha scritto sui social che insomma voleva anche scusarsi, ma poi ha virato sulle presunte menzogne sul suo conto. Lui, che ha patteggiato.

Siamo verso il fischio finale, e dunque: finché il calcio affronta i problemi fingendo che siano inciampi, semina solo il prossimo scandalo. Finché il calcio non pone il rispetto delle regole come condizione di base per esistere, niente si risolve, tutto si rinvia. Finché oltre a formare calciatori non si formano anche uomini e professionisti fuori dal campo (Mino Favini, buonanima, sorriderà), ci ritroveremo sempre qui, a scrivere commenti indignati che in gran parte saranno buoni anche la prossima volta.

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