La politica europea con l’Ucraina sullo sfondo

Esteri.Il Consiglio Europeo, dicono i sacri testi, è composto dai capi di Stato o di Governo dei Paesi membri dell’Unione, dal presidente del Consiglio Europeo (Charles Michel, che presiede i lavori) e dal presidente della Commissione Europea (Ursula von der Leyen) che però non ha diritto di voto.

A questo gran convergere di presidenze, dicono gli statuti, è affidato un compito fondamentale: definire «le priorità e gli indirizzi politici fondamentali» dell’Unione Europea. Non è un caso, quindi, se questo Consiglio Europeo, l’ultimo dell’anno e il primo a cui partecipa la nostra premier Giorgia Meloni, si è aperto con la teleconferenza del presidente ucraino Zelensky. Dal 24 febbraio, primo giorno dell’invasione russa dell’Ucraina, la politica europea si definisce per l’atteggiamento assunto in quella crisi, che come sappiamo è di totale e incondizionato appoggio alla causa di Kiev. E questo è vero sotto ogni aspetto, dalle strategie politiche a quelle militari, dai rifornimenti energetici a quelli alimentari, dal controllo delle frontiere a quello dei flussi finanziari.

L’assunto generale è quello enunciato dallo stesso Zelensky quando, ai partner europei, ha detto che «l’obiettivo della Russia è molto oltre il nostro confine e la sovranità ucraina». Si può dubitarne ma è chiaro ed evidente che una buona parte dei Paesi Ue la pensa esattamente così e si regola di conseguenza. Prima del 24 febbraio non tutti credevano che si sarebbe finiti con una guerra aperta. E pochissimi, forse nessuno, immaginavano che un’eventuale guerra sarebbe durata più di un anno, come ormai è evidente. Il che significa che il Consiglio Europeo è chiamato a inventare le proprie politiche quasi di giorno in giorno, rispondendo a un’emergenza che svela sempre nuovi risvolti. È il secondo ribaltone drammatico che la storia contemporanea impone a questa generazione di politici europei: il Covid ha spazzato via l’architettura politico-economica che andava sotto il nome di «austerità», la guerra in Ucraina sessant’anni di distensione a Est e di equilibri forse un po’ ipocriti (pensiamo a quante se ne sono dette, negli ultimi mesi, contro Angela Merkel, la leader che aveva il rapporto più franco e profondo con Vladimir Putin) ma funzionali e proficui, perché il gas russo sicuro e a buon prezzo faceva comodo a tutti.

Alle due crisi consecutive l’Europa ha risposto chiudendosi a testuggine, come è più semplice fare di fronte a minacce che arrivano dall’esterno. E dimenticando certe polemiche interne che solo un anno fa parevano dirimenti: chi ricorda più le minacce di espellere la Polonia, colpevole (allora) di violare alcuni dei sacri principi fondativi della Ue? E oggi, la riottosa Ungheria che critica le sanzioni contro Mosca non è trattata con una certa tolleranza, proprio in nome e per conto di un’unità di fondo che è meglio non incrinare?

Questo clima, inutile nasconderlo, aiuta anche l’inserimento nell’ambito europeo della nuova maggioranza che governa l’Italia e che Giorgia Meloni rappresenta al Consiglio Europeo. La diffidenza era palpabile (i sovranisti, gli antieuropeisti, quelli che ce l’hanno con i migranti…) e non si è ancora dispersa. Un buon passo avanti è stato fatto con il giudizio discretamente positivo che la Commissione Europea ha appena dato della manovra economica preparata dal Governo. Ma se, come dicevamo all’inizio, in questi mesi la politica europea è politica sull’Ucraina, Giorgia Meloni ha avuto buon fiuto nello schierarsi senza se e senza ma con l’Ucraina, fin dai tempi dell’opposizione al Governo Draghi. È questo il terreno su cui la Ue, non può accettare distinguo né, tantomeno, defezioni. Soprattutto nel momento in cui, avendo accentuato la dipendenza energetica dagli Usa, si trova sull’orlo di una guerra commerciale con gli Usa stessi, che hanno varato un piano da 370 miliardi di dollari (Inflation Reduction Act) di sussidi per le tecnologie a basse emissioni che rischia di bastonare l’industria europea.

Allineati e coperti, è il motto che l’Italia si trova volentieri ad adottare. Strategia non rinunciataria ma imposta dai tempi, e che può forse guadagnare a questo Governo qualche margine di manovra in più nei corridoi di Bruxelles.

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