La politica, le inchieste
e Falcone dimenticato

Ogni anno un migliaio di italiani vengono incarcerati anche se innocenti. A questo gruppo appartiene Simone Uggetti, ex sindaco di Lodi. Nel 2016 fu arrestato con l’accusa di turbativa d’asta per aver favorito una società partecipata nella gestione di due piscine comunali. Il valore dell’appalto era di 5 mila euro, su un bilancio comunale di 100 milioni. In primo grado, nel 2018, fu condannato a 8 mesi. In settimana c’è stata la sentenza d’assoluzione in Appello «perché il fatto non sussiste». Un primo rilievo riguarda proprio la difformità delle due sentenze: la seconda nega l’evidenza di un reato. Un altro appunto chiama in causa ancora una volta l’abuso della carcerazione preventiva, nel caso dell’ex sindaco prima a San Vittore e poi ai domiciliari. Il terzo la durata del processo: 5 anni per giungere all’Appello. Nel frattempo Uggetti ovviamente ha lasciato la carica di primo cittadino ed ha perso il lavoro. Del resto la vicenda di Lodi scatenò la solita canea mediatico-giudiziaria.

«Il Fatto quotidiano» titolò in prima pagina: «Manette al Pd. In galera un altro futuro senatore: il sindaco di Lodi». In piazza in città si presentarono ad aizzare il caso Luigi Di Maio e anche la Lega mandò suoi rappresentanti (vincendo poi, sulla scorta del clima manettaro, le elezioni per il nuovo primo cittadino). In una lettera al «Foglio» l’attuale ministro degli Esteri ha espresso le sue scuse a Uggetti («No alla gogna come strumento elettorale») per il comportamento di allora. «Sono contento delle scuse, spero che il suo ravvedimento sia sincero» la replica del destinatario. L’inchiesta privò i cittadini del diritto di essere rappresentati da chi avevano votato, la volontà democratica fu inquinata e sovvertita.

Proprio in questi giorni il ministro della Giustizia Marta Cartabia sta lavorando insieme ai partiti di governo per un accordo sulla riforma del processo penale, richiesta dal Recovery fund anche per accorciarne la durata. Ma già adesso esistono gli strumenti per evitare rinvii a giudizio che in aula diventano assoluzioni. Il pm per legge sarebbe infatti tenuto a indagare cercando prove pure a discolpa dell’indagato. Inoltre servirebbe una maggiore cautela nel mandare a processo persone quando i fatti a loro carico sono dubbi («in dubio pro reo» dicevano i latini). Nell’interrogatorio di garanzia all’ex sindaco di Lodi, il giudice parlò di un appalto da 100 mila euro e l’arrestato chiese: «Dove ha verificato questa cifra?». «L’ho letto sul giornale» fu la risposta.

Domenica scorsa è stato ricordato il 29° anniversario della strage di Capaci, nella quale morirono per mano di Cosa Nostra il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca e tre uomini della scorta. Falcone è considerato giustamente un eroe nazionale, un martire della mafia. Ma c’è il rischio di farne una sorta di «santino» pietrificato se non si conosce la sua idea della giustizia e la si fa vivere. Ripeteva spesso come «l’informazione di garanzia non è una coltellata che si può infliggere così, è qualcosa che deve essere utilizzata nell’interesse dell’indiziato» mentre oggi per i giustizialisti è sinonimo di colpevolezza.

Il giudice palermitano attaccò la politicizzazione dell’azione giudiziaria («Sono convinto che la via giudiziaria non sia una bella scorciatoia per risolvere i problemi politici ma che la presenza dello Stato è fondamentale in una zona per combattere certi fenomeni che, prima che economici e sociali, sono squisitamente di pertinenza criminale»). Ricordò che i magistrati non devono occuparsi dei sospetti: «A me - disse - sembra profondamente immorale che si possano avviare delle imputazioni e contestare delle cose nella assoluta aleatorietà del risultato giudiziario. Non si può ragionare: intanto contesto il reato e poi si vede. Perché da queste contestazioni poi derivano conseguenze incalcolabili». E ancora: «Per fare un processo ci vuole altro che sospetti e bisogna distinguere le valutazioni politiche dalle prove giudiziarie». Come tutti i grandi aveva il dono della preveggenza, individuando problemi poi deflagrati col tempo: «L’inefficienza dei controlli sulla professionalità, cui dovrebbero provvedere il Csm e i Consigli giudiziari, ha prodotto il livellamento dei magistrati verso il basso. La crisi dell’Anm (il sindacato delle toghe, ndr) l’ha resa sempre più un organismo diretto alla tutela di interessi corporativi e sempre meno il luogo di difesa e di affermazione dei valori della giurisdizione nell’ordinamento democratico (…). Le correnti dell’Anm si sono trasformate in macchine elettorali per il Csm». Falcone lo scrisse nel 1988. Solo oggi sono temi entrati nel dibattito pubblico.

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