La ratifica del Mes necessaria e urgente

ECONOMIA. Il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti appare sempre più in difficoltà durante le riunioni dell’Eurogruppo nel far comprendere ai partner comunitari il perché l’Italia si ostini, sola in Europa, a non voler ratificare il nuovo Trattato del Mes.

Le ragioni addotte dal governo per giustificare tale posizione contraria fanno riferimento alle conseguenze provocate dall’utilizzo del vecchio Trattato che, per molti aspetti, è già stato reso più flessibile dal nuovo. Si sostiene infatti che: il Mes è figlio della stagione dell’austerità e che l’utilizzo dei suoi programmi, imposti a Paesi in difficoltà come la Grecia, ne hanno compromesso la crescita e fatto crescere ulteriormente il debito pubblico; il Mes ha avuto soprattutto lo scopo di aiutare le banche tedesche che avevano in portafoglio molti titoli del debito greco e il suo utilizzo da parte della Grecia è servito a salvaguardare il loro valore; il Mes, per assicurarsi che i fondi prestati ai Paesi in difficoltà fossero effettivamente restituiti alla scadenza del prestito, come avvenuto per Grecia, Irlanda, Portogallo, Cipro e Spagna, prevedeva come condizione necessaria un’analisi di «sostenibilità» che avrebbe dovuto essere effettuata dalla Commissione europea in cooperazione con il Mes.

Il nuovo Trattato del Mes prevede, ad esempio, che quest’ultima condizione intervenga soltanto in situazioni estreme, quando un Paese è sul baratro del fallimento. Sta di fatto che il governo si è dichiarato disponibile alla ratifica del Mes solo se otterrà specifiche assicurazioni da parte dell’Europa sulla riforma del «Patto di Stabilità» e sul completamento dell’unione bancaria, con l’assicurazione comune dei depositi. L’Italia peraltro è il solo Paese a non aver ratificato il nuovo Trattato del Mes pur avendolo approvato nel 2021 e, nel caso di una nuova crisi finanziaria, potrebbe avere più probabilità rispetto ad altri di accedere al suo utilizzo, tenuto conto della critica situazione dei conti pubblici. Sarebbe, quindi, molto più credibile procedere alla ratifica del nuovo Trattato e iniziare da subito a operare per aprire un negoziato su suoi possibili ulteriori adeguamenti.

È del tutto evidente che ratificare l’attuale Mes non comporti alcun obbligo circa un suo utilizzo e che il suo obiettivo primario, che è quello di salvaguardare la stabilità finanziaria, deve in ogni caso essere perseguito dal nostro Paese. È ormai improcrastinabile, infatti, la realizzazione di un significativo contenimento della spesa per pervenire a una riduzione graduale del debito pubblico attraverso adeguati surplus del bilancio primario. È altrettanto improcrastinabile la realizzazione di riforme strutturali che assicurino prospettive di crescita dell’economia anche attraverso l’attuazione di tutti gli investimenti resi possibili dal Pnrr. Questi ultimi dovranno essere portati a compimento superando le tante difficoltà che spesso vengono evidenziate da esponenti del governo, ma che la stessa premier si è più volte impegnata a superare.

Seguire con determinazione questo percorso allontanerà sempre più la necessità di dover accedere al Mes e assicurerà una sempre maggiore credibilità dell’Italia. Nel frattempo, la ratifica del nuovo Mes darà più peso all’azione che l’attuale governo ha dichiarato di voler svolgere per trasformarlo in una vera e propria istituzione comunitaria. Un’ultima ragione addotta dagli esponenti del governo più contrari alla ratifica del Mes è che si tratterebbe di un organismo segreto, non trasparente e di fatto dominato dalla Germania. Guardando alla sua «governance», questa posizione appare del tutto priva di fondamento. Gli azionisti del Mes sono i Paesi dell’eurozona secondo il loro peso del Pil e la Germania, seguendo questo parametro, è il primo azionista con circa il 27%, mentre l’Italia è il terzo azionista con il 18% del capitale versato. Va tenuto conto, però, che il Consiglio dei governatori del Mes - di cui fanno parte i ministri dell’Economia dei vari Paesi - decide «all’unanimità». Solo in caso di crisi si decide a «maggioranza super qualificata» dell’85% dei voti, ma anche in questo caso l’Italia con il suo 18% potrebbe sempre esercitare il proprio potere di veto.

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