La riforma fiscale
ai calci di rigore

Ci sono voluti 53 anni per la seconda vittoria europea dell’Italia calcistica, ma sono quasi altrettanti, 52, quelli trascorsi dall’ultima organica riforma fiscale, concepita nel 1969 e varata nel 1974. È ora di modificarla, perchè l’Italia in bianco e nero a cavallo degli anni ’60/’70 era davvero molto diversa, nel bene e nel male. Per l’urgentissimo rilancio italiano dopo la crisi pandemica, nessuno si illuda: non bastano i miliardi europei, che sono infatti condizionati a riforme come questa, bisogna lavorare a fondo sul fronte delle nostre
entrate, e avere un fisco adatto alla crescita necessaria al nostro sistema produttivo e di welfare. L’occasione c’è, perché entro la fine di luglio il Governo dovrà varare la delega che raccoglierà sei mesi di lavoro delle Commissioni parlamentari guidate da Marattin e D’Alfonso.

Non che in questi 52 anni non si sia toccato il sistema fiscale. Lo si è toccato fin troppo, ma sempre parzialmente, sempre proclamando di abbassare le tasse, quasi mai riuscendoci, in genere complicando le cose. La breve e infelice era populista ci ha consegnato ad esempio un pezzo di flat tax che è già diventato una palla al piede. Fissata la soglia dei 65 mila euro per ottenere l’aliquota del 15%, chi mai aggiungerà un centesimo al suo fatturato col rischio di cadere sotto i colpi del 43%? Meglio il nero, meglio rinunciare alla crescita, quella di cui abbiamo invece assoluto bisogno, visto che negli ultimi 20 anni l’aumento del Pil è stato mediamente dello zero virgola! Il mito della flat tax è così solo l’ultimo esempio dei danni della demagogia fiscale, delle toppe&rammendi prodotti delle «promesse» elettorali a cui qualcun altro dovrà far fronte. Quel qualcuno è ora l’attuale Parlamento, commissariato da un Governo unitario e da un’Europa generosa ma esigente.

Il problema più vistoso è quella tassazione che colpisce il ceto medio, facendo pagare la stessa aliquota del 38% a chi guadagna 28 mila euro e a chi ne guadagna 55 mila, due mondi diversi.

Tutti apparentemente d’accordo a cambiare questa aliquota, così come tutti d’accordo contro l’Irap, un’imposta odiosa e probabilmente incostituzionale sull’occupazione e lo sviluppo, solo un po’ ridotta dagli ultimi governi prepopulisti. Le commissioni parlamentari la vogliono addirittura abolire, così come vogliono far piazza pulita di mille mini tasse che oltretutto danno poco reddito, e vogliono soprattutto rivedere l’impianto Irpef, quello dell’Ires ed evitare patrimoniali (non ha avuto seguito l’improvvida allusione di Letta alla tassazione delle eredità), mentre sarebbe se mai più razionale mettere mano ad una più equa sistemazione degli estimi catastali, alla luce delle dinamiche vere dei valori immobiliari.

Questo catalogo di buone intenzioni dovrà ora tradursi in norme precise, ma ciascuno vede che abolire e sostituire avrà un costo, si ipotizza addirittura di 40 miliardi. Ma proprio qui ci attendiamo il vero momento di svolta, la capacità di segnare (e parare) i calci di rigore, per restare nella metafora calcistica. Ma occorrono una freddezza e una precisione senza precedenti.

L’urgenza sta anche nelle cifre: il 2020 ha segnato un decremento vistoso delle entrate (da 837 miliardi a 777) e nel 2021 non recupereremo tutto l’effetto pandemia, in attesa di una risalita nel 22 e 23 (stima: 874 miliardi), con una pressione fiscale rimasta invece costante anche nella crisi e in crescita nel 2021 al 43%. Sempre attorno a 110 miliardi l’evasione fiscale, nonostante l’oggettivo miglioramento dei mezzi di contrasto.

I contribuenti sono 43 milioni, 13 di loro non versano Irpef e tra i 15 mila e 50 mila euro si colloca il 57% della platea contributiva. Dentro queste percentuali si annidano diseguaglianze e talora ingiustizie.

Nella sua dichiarazione programmatica, Draghi ha detto che è ora di riformare profondamente tutto, non solo qualche parte (è sembrata una sconfessione di Letta), ma ora occorre mettere tutto nero su bianco. La presentazione della riforma coincide con l’inizio, ad agosto, del semestre bianco e il ricatto elettorale non può essere esercitato giusto per il tempo di far entrare in vigore la legge. Ora o mai più.

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