La riscossa culturale della destra inizia in Rai

ATTUALITÀ. Più volte rimandata, la partita Rai sembra essere entrata nel vivo insieme a tutte le nomine delle principali aziende dal governo. La destra che lo guida è intenzionata a rovesciare la tradizionale egemonia della sinistra negli organismi culturali, a cominciare proprio dalla televisione pubblica.

E infatti oggi in un albergo romano, sotto l’egida del ministro della Cultura Sangiuliano si terrà una convention che darà l’idea di una destra alla riscossa: vi parteciperanno gli esponenti del «pensiero nazionale» pronti a far sentire il loro peso nei giornali, nelle case editrici, nei premi letterari, nelle università, e quindi anche in quella che pomposamente viene definita «la più importante industria culturale italiana», la Rai. Che un tempo era vigilata dal Parlamento, attraverso l’apposita commissione bicamerale con sede a Palazzo San Macuto, ma che da quando è stata varata la riforma Renzi è passata sotto il controllo governativo.

Ciononostante la «Vigilanza» è pur sempre una postazione di potere la cui presidenza spetta di norma ad un esponente dell’opposizione: questa volta la poltrona è toccata ai 5 Stelle che si sono accordati con il Pd per sbarrare il passo al Terzo Polo (che l’avrebbe affidata a Maria Elena Boschi). Barbara Floridia, vivace senatrice di stretta osservanza contiana, l’ha spuntata su diversi concorrenti interni e adesso si prepara a dire la sua sugli equilibri della Tv di Stato. Già, perché la novità è proprio quella di un accordo che si va consolidando tra Fratelli d’Italia e M5S in un abile gioco di sponda il cui suggello dovrebbe essere il voto favorevole del consigliere di amministrazione di estrazione grillina ai nuovi vertici che sostituiranno l’attuale amministratore delegato Carlo Fuortes: si tratta presumibilmente di Roberto Sergio (amministratore delegato, area centrista) e Gian Paolo Rossi (direttore generale, l’uomo di fiducia di Giorgia Meloni per la Rai e futuro a.d. dopo Sergio).

Nella divisione degli incarichi di vertice Conte potrà così avere qualche consolazione a scapito naturalmente del Pd che dovrebbe perdere la gran parte delle posizioni che oggi controlla attraverso dirigenti di area centrosinistra. Al loro posto nomi poco conosciuti al grande pubblico (Gian Marco Chiocci, Angelo Mellone, Nicola Rao, Paolo Corsini, Paolo Petrecca, Angela Mariella, Antonio Preziosi) che dovranno mettere in pratica quella rivoluzione il cui ispiratore sarà proprio Rossi, un intellettuale di destra profondo conoscitore dell’azienda. La rivoluzione avrà un inequivocabile segno per cui difficilmente rivedremo un Sanremo come quello dell’edizione 2023 così spostato a favore delle teorie Lgbt.

Altro punto di forza della «reconquista» sarà il Tg1 che andrà a Chiocci, direttore dell’agenzia Adn-Kronos: la macchina informativa più potente che c’è in Italia tra i mass media tradizionali sarà nelle sue mani e non più in quelle di Monica Maggioni, nominata in epoca Draghi. Non bisogna dimenticare il terzo - e chissà se proprio questo sia l’ordine - «uomo forte» del governo a viale Mazzini: si tratta di Bruno Vespa che si è ritagliato un personalissimo ruolo di consigliere della presidente del Consiglio soprattutto sulle questioni televisive e della comunicazione. Rossi, Vespa e Chiocci dovranno traghettare la Rai nel futuro da cui sta ancora orgogliosamente lontana: il piano industriale che ha trasformato le «Reti» (Rai1, 2, 3 ecc.) in generi (Approfondimento, Day-time, Intrattenimento, ecc.) e che nacque gracile ai tempi di Campo Dall’Orto, crebbe tra gli stenti con Fabrizio Salini ed è arrivato con fatica alla maturità con Carlo Fuortes, dovrà avere una svolta: o andrà definitivamente nel cassetto in quanto fallito, o prenderà vigore riportando un po’ di ordine nell’azienda. Ma questo lo sapremo solo tra parecchio tempo.

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