La stecca di Fedez
sul palco del 1° maggio

Fedez è un artista di talento e un ragazzo sensibile e simpatico, ma ha un malinteso senso della libertà di parola. L’Italia è un Paese democratico e ognuno ha diritto di manifestare le proprie opinioni, come recita l’articolo 21 della Costituzione, ma non è che si può salire su un palco in diretta nazionale e dire tutto ciò che ci passa per la testa solo perché non si è ricevuto un cachet e si sono pagati i musicisti a proprie spese. Soprattutto se il palco è quello del Primo Maggio, dove il tema di fondo è il lavoro e viene trasmesso a milioni di persone attraverso la rete ammiraglia della Tv pubblica. C’è un collegamento tra diritti e doveri, questo lo sanno tutti. Elevare Fedez a nuovo eroe post-ideologico della libertà d’opinione è francamente ridicolo.

Il rapper ha invitato Draghi a fare di più per i lavoratori dello spettacolo, e su questo non fa una grinza, perfettamente in linea con il «focus» dell’evento. Ma cosa c’entrava il disegno di legge Zan che è estremamente divisivo, poiché ancora cammina sul filo dei fraintendimenti giuridici e mette a rischio la libertà di opinione? Come è noto si propone di combattere e punire l’omofobia e altri temi simili, cosa sacrosanta, ma è anche vero che il rischio sollevato da tanti, giuristi compresi, è che deprecando l’utero in affitto o sostenendo che qualsiasi bambino ha diritto a un papà e una mamma o affermare che si è contrari all’aborto si rischi di incorrere in una condanna. Insomma: esiste il «fumus» del provvedimento liberticida e un sottile pericolo di deriva totalitaria e intollerante nascosto tra i commi di una legge formalmente giusta. Talmente giusta che forse non serve, perché questo tipo di protezione giuridica esiste già nell’ordinamento.

In ogni caso, per evitare questi pericoli serve dialogo, pacatezza, confronto. È un tema sensibile che va chiarito e discusso nella sua sede opportuna: il Parlamento e non il palco del Primo Maggio, dove si suona, si canta e si parla di diritto al lavoro. E proprio per questo non aveva alcun senso proporre un argomento del genere dal palco della festa dei lavoratori. Bastava il buon senso. Cosa avrebbe pensato Fedez se, per ipotesi, qualcuno avesse declamato - da quel palco - un monologo no vax? Era opportuno farlo in quel contesto?

Fedez è un artista di successo, un uomo ricco e molto potente dal punto di vista comunicativo. I contesti per esprimere le sue idee in Italia non mancano. Avrebbe potuto sostenere quello che ha declamato su un canale pubblico pagato con i soldi dei contribuenti su altre piattaforme: in un’intervista, una conferenza stampa, un articolo, nel suo programma radio, sui social, dove dispone di milioni di followers, in un talk show, in un comizio, un convegno, una conferenza, una manifestazione di piazza, un raduno, un happening, un dibattito. Già, il dibattito. Fedez ha accusato la Rai di averlo voluto censurare (senza riuscirci a quanto pare, ma offrendogli solo il destro per una polemica) ma in realtà l’ente pubblico radiotelevisivo gli aveva solo chiesto di non fare nomi per un banale rispetto per la discrezione, visto che coloro che erano – nome e cognome - nella lista del suo «j’accuse» non erano presenti. La Bbc o France 2 – per dire due emittenti pubbliche di due Stati che non possiamo definire liberticidi – non si sarebbero certo comportate diversamente. Certo parlare, come ha fatto chi gli ha telefonato da Viale Mazzini, di «sistema cui adeguarsi», è stata una frase decisamente infelice, ma il senso era quello: non si fanno nomi esponendoli a una pubblica gogna, come minimo bisognava invitarli a replicare sul palco, quanto meno uno per tutti, come il senatore Pillon, tanto per dire. E invece Fedez ha potuto leggere indisturbato il suo monologo, con tanto di colpo di scena, con la rivelazione in diretta della censura Rai. Povera Rai. E poveri apprendisti censori.

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