La storia la fa solo chi sceglie di votare

L’editoriale. «Che vinca il migliore». Se stessimo parlando di Olimpiadi, potremmo essere certi che il vincitore, chiunque esso sia, uscirebbe da una ristretta cerchia di atleti di alto livello, ben preparato e pronto a reggere il «peso dell’alloro», una sorta di «primo tra i primi», il «primus inter pares» degli antichi romani. Ma parlando delle elezioni di oggi, una delle consultazioni più importanti della storia repubblicana, siamo sicuri di poter utilizzare la stessa allocuzione augurale?

Al termine di una campagna elettorale di basso profilo, dove tutti ci hanno fatto credere di avere in tasca le soluzioni per risolvere i gravi problemi che assillano l’Italia e il mondo intero, qualche dubbio è lecito porselo. Anche solo perché chiunque vada a Palazzo Chigi non avrà comunque la caratura e il «peso» del suo predecessore, fatto saltare per un mero calcolo elettoralistico, dopo aver soppesato l’esito dei sondaggi commissionati sotto banco per annusare l’aria tra il corpo elettorale. Potremmo persino dire che più che per «colpa» di qualcuno, oggi si va alle urne per «il dolo» di qualcun altro. Venerdì si è chiusa una campagna elettorale che ha messo ben in evidenza la sproporzione tra il drammatico momento che stiamo vivendo e la pochezza dei contenuti. È vero che sono stati trattati temi importanti (il Pnrr, le tasse, il reddito di cittadinanza, l’Europa, la nostra collocazione internazionale, la guerra in Ucraina), ma spesso con promesse fuori portata, impossibili da mantenere.

Non stupisce, dunque, se il primo nemico da battere in questo 25 settembre (nelle date importanti del nostro Paese c’è sempre un 25 e c’è sempre un settembre) sia l’astensionismo, soprattutto quello delle giovani generazioni, che verso la politica nutrono un preoccupante disinteresse, destinato a minare il loro stesso futuro, proprio quello che dicono di voler cambiare ogni volta che scendono in piazza, accusando la politica di disinteressarsi di loro.

Non ci si è occupati dei giovani, ma si è maldestramente cercato di influenzarli utilizzando gli stessi strumenti che usano per comunicare tra loro, tanto che abbiamo assistito a trionfanti sbarchi sulla piattaforma di TikTok, come se bastasse questo per attrarre la loro attenzione

E su questo è difficile dar loro torto. Si è forse parlato di giovani in campagna elettorale? Nonostante ci siano stati tre ragazzi morti in altrettante esperienze, si è forse parlato di come perfezionare il tema dell’alternanza scuola - lavoro? Si è forse parlato di come ripensare la loro formazione (scolastica e non), riportando al centro gli insegnamenti veri, valori compresi, e non solo semplici nozioni da mandare a memoria? Non risulta, se non un timido dibattito (ovviamente nessuno d’accordo con nessuno) se prorogare o meno l’obbligo scolastico fino alle medie superiori o persino all’Università, come fossero questi i temi veri da discutere. Per inciso, non si è parlato nemmeno di sanità e di ospedali, della mancanza di medici e di come formarne di nuovi, della necessità di implementare massicciamente gli strumenti per garantire una buona salute mentale in un mondo sempre più complesso e problematico che non tutti riusciamo a reggere e a «decifrare». Così come non si è parlato della tutela dell’ambiente, se non perché costretti dai drammatici avvenimenti nelle Marche, ma per un paio di giorni soltanto. Ed è per questo che i giovani stanno distanti dalla politica: non perché la politica non parla di loro, ma perché non parla di ciò che a loro sta a cuore, e quello che a loro sta a cuore è un interesse che va oltre l’ombelico dell’Io, ed è la cura del pianeta, oltre che la possibilità di avere un lavoro vero e di riuscire a «metter su» famiglia.

Non andare a votare, così come lasciare bianca la scheda o imbrattarla con sciocchi insulti o inutili scarabocchi, vuol dire mettersi sullo stesso livello di chi accusiamo con l’indice puntato di non volersi occupare di noi

Non ci si è occupati dei giovani, ma si è maldestramente cercato di influenzarli utilizzando gli stessi strumenti che usano per comunicare tra loro, tanto che abbiamo assistito a trionfanti sbarchi sulla piattaforma di TikTok, come se bastasse questo per attrarre la loro attenzione. Saranno anche «bamboccioni», ma così stupidi proprio no. E dovrebbe essere proprio il sostanziale disinteresse della politica nei loro confronti a spingerli oggi con forza verso le urne, perché è il voto l’unico strumento che hanno - che abbiamo - per poter cambiare le cose, o perlomeno per provare a farlo, scegliendo con attenzione e con un po’ di impegno chi pensiamo possa rappresentare meglio il nostro «sentire». Certo, il voto è un diritto e un dovere che deve essere onorato, non foss’altro per il rispetto che dobbiamo a chi ha dato la vita per lasciarcelo in eredità, ma è anche un modo per dimostrare concretamente a chi incolpiamo di non occuparsi di noi che esistiamo, e che non ci sottraiamo alla grande responsabilità che tutti abbiamo di occuparci del bene comune.

Se il variegato partito degli astensionisti risulterà essere il più «rappresentativo», non ci si potrà certo lamentare se a governare ci sarà qualcuno che non ci piace, scelto però - legittimamente, s’intende - da una rappresentanza di italiani non poi così tanto rappresentativa

Non andare a votare, così come lasciare bianca la scheda o imbrattarla con sciocchi insulti o inutili scarabocchi, vuol dire mettersi sullo stesso livello di chi accusiamo con l’indice puntato di non volersi occupare di noi. È il peggior esempio che possiamo dare, mentre oggi - 25 settembre 2022 - è importante che tutti gli italiani, ma proprio tutti, giovani e non, facciano sentire la propria voce, l’unico modo per legittimare davvero l’esito delle consultazioni, sentendosi realmente rappresentati. Se il variegato partito degli astensionisti risulterà essere il più «rappresentativo», non ci si potrà certo lamentare se a governare ci sarà qualcuno che non ci piace, scelto però - legittimamente, s’intende - da una rappresentanza di italiani non poi così tanto rappresentativa. «La Storia siamo noi - ammonisce Francesco De Gregori nella sua celebre canzone - (…), nessuno si senta escluso (…). La Storia siamo noi (…), siamo noi che abbiamo tutto da vincere e tutto da perdere, (…) perché è la gente che fa la Storia, (…) quelli che hanno letto milioni di libri e quelli che non sanno nemmeno parlare…». De Gregori racconta di aver scritto quella canzone/poesia dopo essere uscito di casa una mattina e aver visto il marciapiede pieno di siringhe: «Ho pensato che non mi riguardasse finché mio figlio non si pungesse giocando lì. Così è nata “La Storia”, pensando che se non siamo noi a fare la Storia, è lei che fa noi, che ogni giorno ci dà torto o ragione. C’è un disinteresse che la gente crede di potersi permettere, ma poi si scopre sempre che non è vero». Cerchiamo di ricordarcelo, soprattutto oggi. Buon voto a tutti.

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