La strage nelle moschee
L’alibi della follia, il rischio fondamentalismo

Il 94% delle vittime di attentati di matrice islamista nel mondo è musulmano. Dall’Afghanistan alla Siria, dall’Iraq al Pakistan gli attacchi colpiscono nella stragrande maggioranza i fedeli di Maometto. La ferita aperta tra sunniti e sciiti, le due grandi e principali famiglie dell’islam, produce questa ecatombe. A manovrare il conflitto tra i due campi sono rispettivamente Arabia Saudita e Iran. La strage nelle due moschee in Nuova Zelanda non è ascrivibile a questo dissidio. Né è stato semplicemente il gesto di un folle, di un pazzo come si dice banalizzando la tragica vicenda, in cerca di alibi e offendendo chi soffre di disturbi mentali gravi ed è chiuso nel proprio grande dolore, incapace di fare del male al prossimo.

La matrice ideologica è invece chiara: si chiama suprematismo bianco, un movimento basato sull’idea che gli uomini bianchi siano superiori agli altri gruppi. L’autore della sparatoria, Brenton Tarrant, australiano di 28 anni, ha sparato in due moschee nel venerdì di preghiera, uccidendo 49 persone e ferendone 48, in 17 minuti di terrore e probabilmente con tre complici. Nella rivendicazione sul web, prima di entrare in azione, ha specificato di aver scelto la Nuova Zelanda a causa della sua posizione, per dimostrare che anche le parti più remote del mondo non sono esenti da «immigrazione di massa». Per la verità nel Paese la presenza di immigrati è regolata da un numero determinato di accessi per anno: 750 dal 1987 al 2018, poi mille compreso il 2019, fino a salire a 1.500 da luglio 2020. I musulmani sono il 2% della popolazione.

Ma i numeri e i fatti non possono nulla contro la mente ossessionata e il pensiero fondamentalista di Brenton Tarrant, ricapitolato nel testo intitolato «The great replacement», la grande sostituzione, slogan apocalittico e prospettiva diffusi nei network dell’estrema destra. «Anche se noi deportassimo tutti i non europei dalle nostre terre domani - è scritto nel documento - il popolo europeo continuerebbe nella decadenza fino alla morte finale». «Dobbiamo distruggere l’immigrazione e deportare questi invasori, mostrare loro che la nostra terra non sarà mai la loro terra». La strage ha un obiettivo: «Incitare alla violenza, alla vendetta». La lista dei nemici comprende Angela Merkel, Recep Erdogan e il sindaco di Londra, il musulmano Sadiq Khan. Donald Trump viene citato come «simbolo della rinnovata identità bianca». Tarrant si definisce apertamente fascista ma ha la Cina come modello, «la nazione con i valori politici e sociali più vicini ai miei». Il manifesto del killer è un testo pieno di incoerenze e confuso («sono un uomo bianco qualunque e vengo da una famiglia di lavoratori, gente che ha sempre guadagnato poco e ho ricevuto poca istruzione» dice del suo ambiente).

Tra i modelli c’è anche l’italiano Luca Traini, autore degli spari in strada a Macerata contro africani, il cui nome è scritto sui caricatori delle armi usate per la strage nelle moschee (Traini dal carcere si è detto «sconcertato per essere preso a simbolo di una mattanza») e Anders Breivik, autore degli attentati del 2011 in Norvegia, che provocarono la morte di 77 persone, soprattutto giovani e tutti «bianchi» (dopo la condanna a 21 anni disse: «Chiedo perdono per non avere ucciso più persone»). Sbaglia quindi il nostro ministro dell’Interno Matteo Salvini quando, a proposito delle stragi di ieri, dice che «l’unico estremismo che merita di essere attenzionato è quello islamico». Il fondamentalismo è una malattia da contrastare sempre, da qualunque parte provenga. Ci sono cristiani in India vittime del fondamentalismo indù. I fondamentalisti ebrei sono contrari alla nascita di uno Stato palestinese perché Cisgiordania e Gaza sarebbero Terra promessa da Dio agli ebrei. Guardiamoci dal virus fondamentalista, disumanizza il prossimo ed è nemico della democrazia.

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