La via del Papa per Gerusalemme

ITALIA. Non era mai accaduto nella storia recente del Patriarcato Latino di Gerusalemme che un Patriarca ricevesse il titolo di cardinale. Così l’annuncio di ieri di Papa Francesco, che assegna il titolo di cardinale a Pierbattista Pizzaballa, è un riconoscimento che va al di là della persona e della sua lunghissima azione pastorale in Terra Santa.

È il sigillo a una storia dove tutto è cominciato ed è il suggello più autorevole e definito ad una città, Gerusalemme, che è diventata archetipo di identità che non possono essere divise, perché multiple, strati storici e sociali di comunità diverse, ognuna indispensabile, ognuna unica, ognuna indivisibile. Papa Francesco otto anni fa spiegò cosa significa essere cardinali insistendo per nulla sull’onorificenza che il titolo sembrerebbe assegnare, ma sulla dignità di essere cardini, cioè «perno», e «punto d’appoggio» e di «movimento essenziale per la vita della comunità».

Pizzaballa lo è da oltre 30 anni, quando arrivò a Gerusalemme per la prima volta. In lui Francesco riconosce la massima dignità ad una città che continua a soffrire nelle sue comunità, nessuna esclusa, e al contempo sollecita da parte di tutta la Chiesa una riflessione seria su cosa significhi per tutti i cattolici di Gerusalemme.

Sono molti i rischi che corre Gerusalemme. E tra essi c’è quello costante di essere trasformata in una sorta di «Disneyland» delle religioni, tentazione pervicace nelle politiche israeliane e soprattutto in quelle di «Re Bibi», l’attuale leader, che più di una volta ha giocato di sponda con chi vuole trasformare la città santa per le tre religioni del Libro in una federazione civica e religiosa di identità contrapposte e in conflitto. Pizzaballa qualche anno fa chiese di riflettere su questa deviazione della storia, di analizzare più a fondo il senso dei pellegrinaggi che con sempre più fatica si organizzano in Terra Santa, chiese di andare al di là del devozionismo che a volte li caratterizza, per concentrarsi su ciò che lega questa città a ogni cristiano e viceversa. Gerusalemme non è un’icona, non è nemmeno un mito. Ma il rischio è che diventi icona e mito, che fermi la storia in un istante, quello che fa più comodo dal punto di vista politico o religioso. Né Gerusalemme è un simbolo da appiccicare qui e là dopo aver cercato di usurparne l’ anima. E neppure Gerusalemme è un avamposto, capitale strategica da occupare e controllare nel mercante in fiera di territori e popolazioni.

Eppure Gerusalemme è diventata nei secoli un poco di tutto ciò, scivolando dal suo archetipo di laboratorio singolare e straordinario, di esempio di elaborazione di idee innovative sulla sovranità, la cittadinanza e sulla identità nazionali e religiose, nessuna compiuta e tutte condivise. Gerusalemme città santa è diventata un elemento linguistico, un significato semantico ben al di là della sua tragica collocazione geografica. Gerusalemme sono tutte quelle città abitate da gente che si è sempre ribellata al senso oppressivo delle frontiere culturali, linguistiche, religiose, sentendosi fratelli.

Creare un cardinale per Gerusalemme è dunque una grande sfida per la Chiesa e per il mondo e anche per quella «industria della pace» che ha trasformato da decenni Gerusalemme in una città «crudele» e quasi «senza Dio», secondo l’icastica definizione di Paola Caridi, storica e giornalista, che a Gerusalemme ha vissuto per anni. Gerusalemme non è soltanto una questione politica, ma anche religiosa molto intricata da cui non è facile uscire. Pizzaballa più volte ha sottolineato il ruolo profetico della comunità cristiana, che non resta in Medio Oriente e a Gerusalemme per «diritto», ma per «vocazione» e per «scelta», altrimenti diventerebbe parte (fragile) del conflitto e di ogni lacerazione. Poche settimane fa a Cipro in un simposio delle Chiese cristiane dell’area il neo-cardinale ha sostenuto la necessità di mettere da parte «la preoccupazione di occupare pezzi di terra o strutture fisiche e istituzionali».

È un punto cruciale, una sorta di ritorno all’essenziale, alle pietre sacre, quelle vere e vive delle parole del Vangelo e dei suoi uomini e donne, che non sono cambiati nonostante il ritmo sofferente imposto a Gerusalemme. Il Papa con il titolo di cardinale a Pizzaballa e alla città chiede di non abbandonarle.

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