Le analisi politiche e la Chiesa dei fedeli

Mondo. Colpisce, leggendo i commenti sui giornali dopo la morte di Benedetto XVI - ma in realtà sono pochi a leggere i giornali - la lettura che viene data di continuo delle vicende di Chiesa.

Una lettura politica, con Chiese contrapposte, schieramenti progressisti e conservatori in lotta manifesta o meno tra di loro, seguaci del Papa in carica e del Papa emerito, ora «santo subito», con lo scisma - già, addirittura lo scisma - dietro l’angolo. Ma è davvero così? Proviamo a guardare le vicende da un altro punto di vista, che è quello - crediamo - del «popolo di Dio», cioè di quella Chiesa che non è costituita da apparati ecclesiastici (non solo), dai cardinali capi fazione (secondo gli esperti commentatori), dai segretari più o meno scontenti in Vaticano. Quella Chiesa che è composta dalle (sempre meno) persone che vanno a Messa alla domenica e frequentano le parrocchie e anche da quella (sempre più) vasta area di donne e uomini che sono aperti al mistero, che cercano una dimensione spirituale e non di rado si riferiscono alla Chiesa cattolica pur non frequentandone i riti. Definiamoli, per semplicità, i credenti non praticanti.

Ebbene, a tutte queste persone interessa davvero sapere se il «partito» del Papa emerito fosse più o meno forte e in contrapposizione con quello del Papa regnante? Se Benedetto XVI fosse il contraltare teologico, custode della dottrina, di un Francesco pericolosamente esposto al relativismo di questo secolo? Probabilmente no. Probabilmente per le persone di cui stiamo parlando c’è solo un Papa, Francesco, mentre Benedetto XVI è rimasto in tutti questi anni un’icona spirituale, semplice, di persona dedita a Dio nella meditazione, nel silenzio e nella preghiera. Ben poco sanno o si interessano delle beghe teologiche e/o di potere, della Chiesa americana conservatrice o di quella tedesca su posizioni «avanzate». Piuttosto si sono riferiti al messaggio forte e insieme semplice di Papa Francesco che ha avuto e ha il vantaggio di porsi vicino a tutti e di avvicinare l’istituzione ecclesiastica - il Vaticano, i cardinali, i vescovi (si provi a immaginare sul serio qual è il sentire più comune rispetto a queste realtà) - e soprattutto il Vangelo alla gente, spogliando di fatto la Chiesa dei suoi paramenti ingombranti e solenni, frammisti con l’idea di potere più che con quella di servizio, per portarla sulle strade di tutti, di tutti i giorni, con le incertezze e le fragilità che sono di ogni donna e di ogni uomo del mondo. Fragilità che paradossalmente - proprio come il Natale appena festeggiato - sono la forza del cristianesimo, la religione dell’incarnazione e di Gesù Cristo crocifisso.

Allora, viste le ultime vicende da questa prospettiva, si capisce che le analisi «politiche» poco hanno a che fare con quello che conta davvero, con il sentire comune. Vanno bene per gli intellettuali e per quella stessa casta di persone che se la canta e se la suona da sola. Che gode dei retropensieri, delle contrapposizioni, immaginando frange scismatiche ultraortodosse o ultraprogressiste. Ci saranno anche, la Chiesa è tanto varia, ma poco importa.

Di fronte alla morte di Benedetto XVI quel «popolo di Dio» che immagino dall’inizio, ha visto la scomparsa di un cristiano esemplare e fedele al suo Signore, al punto di farsi nulla, di scomparire nella preghiera e nella meditazione. In un monastero. Non ci sono mai stati due Papi, se non per chi ha voluto costruire ad arte le contrapposizioni, se non per chi abita le «sovrastrutture» del potere, anche ecclesiastico, destinate - la storia va in questa direzione - a contare sempre di meno.

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