Le carceri italiane e il caso Ungheria

ITALIA. Secondo un vizio, in Italia vengono qualificati come emergenze fenomeni che ormai sono strutturali. Accade per l’immigrazione: i primi sbarchi sulle nostre coste risalgono a oltre 30 anni fa ma ancora oggi sono giudicati appunto come emergenza.

Oltretutto l’approdo via mare rappresenta solo il 15% degli accessi irregolari in Italia. Anche il sovraffollamento carcerario è definito emergenza, nonostante abbia una storia almeno ventennale. Al 31 dicembre scorso nei penitenziari italiani erano detenute 62.707 persone, con una tendenza alla crescita di 400 al mese, a fronte di 51.272 posti. Il sovraffollamento è fra le cause dell’alto numero di suicidi in cella, tragedia che si consuma in una proporzione maggiore rispetto a quella fra la popolazione libera: a gennaio si sono tolti la vita 13 detenuti, uno ogni tre giorni.

Mosso dalla sensibilità e dall’attenzione che lo contraddistinguono, in settimana il Capo dello Stato Sergio Mattarella (che è anche presidente del Consiglio superiore della magistratura) ha chiamato al Quirinale Giovanni Russo, responsabile del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, per fare il punto sulla grave situazione. La politica intanto latita, prevedendo riforme dai tempi lunghi non adeguati all’evidenza di un sistema che non rispetta la dignità delle persone: la pena consiste nella privazione della libertà, nulla di più, e secondo l’articolo 27 della Costituzione non deve «consistere in trattamenti contrari al senso di umanità» e «tendere alla rieducazione del condannato». La destra punta soprattutto alla realizzazione di nuovi penitenziari, un obiettivo raggiungibile non a breve e con costi elevati. Inoltre ha introdotto nuove fattispecie penali che ingrossano la popolazione carceraria. È peraltro provato che pene alternative alla detenzione sono più efficaci in termini di recidiva: chi ne beneficia, una volta scontata la condanna torna a delinquere nel 20% dei casi, nel 70-80% invece quando trascorre tutto il tempo in cella.

La riforma del sistema penitenziario andrebbe accompagnata a quella della giustizia. A partire anche da alcuni dati: dal 1991 al 2021 in Italia 30mila persone sono state vittime di ingiusta detenzione ed errori giudiziari. In media ogni giorno tre cittadini vengono incarcerati senza colpe. In 30 anni lo Stato ha sborsato un miliardo di euro per risarcire gli innocenti (la fonte è il ministero della Giustizia). Inoltre c’è un abuso della carcerazione preventiva: il 35% dei detenuti è in attesa di sentenza definitiva, un dato ingiustificabile, fatti salvi i casi della contestazione di reati socialmente pericolosi. Ma, a proposito di indennizzi, che valore hanno i 32 anni di vita passati in cella da Beniamino Zuncheddu, pastore sardo condannato all’ergastolo per pluriomicidio, in base a una falsa testimonianza? Zuncheddu è entrato in prigione a 27 anni, ne è uscito a 60, dopo essere stato assolto nei giorni scorsi dalla Corte d’appello di Roma, al termine del processo di revisione. È il caso di errore giudiziario più grave in Italia, eppure non ha generato dibattito: forse perché ha coinvolto solo un ex pastore...

Hanno tenuto banco invece e giustamente le condizioni vergognose di detenzione a Budapest di Ilaria Salis, apparsa davanti alla Corte con i ceppi ai piedi e al guinzaglio: inaccettabile. Per la verità da anni le ong ungheresi denunciavano inascoltate le gravissime violazioni dello stato di diritto perpetrate da Viktor Orban, il presidente sovranista che piace anche in Italia, l’«uomo forte che decide» dopo aver umiliato ogni contrappeso. Un po’ di indignazione però andrebbe riservata pure alle condizioni del nostro sistema carcerario, che ha subìto condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, per il sovraffollamento ma non solo: per detenzione illegale di una minorenne ghanese, vittima di violenza sessuale e privata del necessario supporto psicologico, o per aver tenuto in cella malati psichiatrici che necessitavano di ricovero e di cure specifiche.

Nel marzo 2023 invece la maggioranza di Fratelli d’Italia ha bloccato una proposta contro la detenzione di madri insieme ai loro figli piccoli: la nuova norma del Pd non chiedeva un’amnistia generalizzata, ma far sì che le mamme e i minori potessero vivere, nel momento più delicato per i bambini, non in un carcere, bensì in una casa protetta, comunque private della libertà. La pena consiste appunto in questa privazione, ogni aggiunta afflittiva sa di vendetta, non di giustizia.

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