Le cicale
pagano le bollette

L’aumento del 40% dei costi energetici alla base del minacciato caro bollette sembra un fulmine a ciel sereno, ma viene da lontano. In Italia le cattive notizie non le dà volentieri nessuno e infatti (ambasciator porta pena) se ne è incaricato il ministro tecnico Cingolani (autoironico: «Tanto non devo ricevere voti»). Il salto del canguro viene da lontano, dicevamo, forse da quel fatidico 1987 in cui si celebrò il referendum che abolì il nucleare, cancellando un intero comparto industriale e facendo scappare all’estero i migliori ricercatori. Un voto presentato come se fosse un concorso di virtuosità ambientalista, dimenticandosi di avvisare gli elettori che dal giorno dopo avrebbero dovuto pagare il conto in bolletta.

Nascoste per 35 anni tra le voci del bollettino, questo contribuisce a raddoppiare il pagamento della materia prima: circa 14 miliardi sui 52 e passa che famiglie e imprese versano ogni anno. Non proprio un’inezia. Se, come capita ora, sale il costo base del gas (agosto: 120 euro/MWh, settembre: 200 euro), il salto diventa intollerabile, e siamo travolti in un solo anno da un prezzo quintuplicato. L’elettricità nel 2020 costava 42 euro/MWh, ora costa 63.

Tutto questo è paradossalmente uno dei segni positivi della ripresa post Covid in atto. C’è tanta domanda di energia (+6% anno fino al 2024), ma l’Italia è invece quasi ancora quella del 1987, dipendente dagli altri, per il 14% dal nucleare francese, esposta ai cattivi umori non solo di petrolio e gas ma di tutti gli irrequieti regimi interessati all’estrazione, al trasporto e al transito. Sta per aprirsi il grande gasdotto tra Russia e Germania, duplicazione di quello a sud che finalmente è arrivato in Puglia, alla faccia di tutte le irresponsabili fantasie pentastellate. Dopo il 1987 abbiamo puntato sul gas (45% del totale), unici al mondo (Biden ha annunciato di volerlo drasticamente ridurre) e abbiamo indebitato il sistema nella corsa costosissima al fotovoltaico, con effetti ancora per molti anni, ma almeno è energia rinnovabile.

C’è di più. Per le imprese che inquinano era stato stabilito l’acquisto di permessi CO2 (una sorta di supermercato dell’inquinamento). Ebbene, costavano 25 euro, oggi ne costano 63. Per calmierare questo mercato impazzito, potremmo in realtà usare gas nostro – Eni ed Enel fanno miracoli nella scoperta – ma se nel 1998 ne producevamo 20 miliardi di metri cubi, oggi siamo a 4, il resto è sottoterra. Potremmo pagare ai fornitori esteri 8 miliardi di euro in meno, anziché chiederli in bolletta.

Sembra insomma tutto un po’ folle, ma sarebbe ora di farsi delle domande definitive e soprattutto serie sul mai risolto tema energia-ambiente. Anno dopo anno, ci siamo letteralmente attaccati alla canna del gas, chiudendo via via centrali a petrolio o a carbone. Ci siamo cacciati in un sistema rigido, raccontando belle cose su solare e vento, ambiti in cui effettivamente è stato fatto molto (e speso molto) ma alla fine sono solo il 16% del totale, e in Europa stanno scendendo.

Così andiamo sempre in giro a cercare chi ci vende energia (90% di gas importato, +55% di elettricità nei primi 7 mesi del 21), e il più affidabile fornitore è sempre la Francia con le sue 56 centrali nucleari. Se non le vogliamo in casa, benissimo, sia fatta la volontà popolare, ma almeno non lapidiamo un ministro tecnico se ci parla dei progressi fatti con tecnologie che forse potranno darci domani il nucleare supersicuro.

E soprattutto adottiamo una politica energetica di transizione sostenibile, ma non verso il nulla. No ai rigassificatori, no ai termovalorizzatori, che hanno arricchito Brescia, controllato l’indice di inquinamento a Bergamo e Milano, salvato la Campania dal disastro dell’immondizia. No assoluto alle trivelle e all’individuazione di un sito per lo stoccaggio dei rifiuti nucleari. No allo stoccaggio sottoterra. No, insomma, a tutte le scelte scomode, ma allora la cicala deve almeno pagare la bolletta…

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