Le culle vuote
Gravi squilibri

Tra dieci anni ci saranno quasi due milioni di residenti in meno nel nostro Paese, eppure già oggi nella Bergamasca si rischia l’estinzione del «bocia», il giovane muratore alle prime armi che affianca nei cantieri i colleghi più esperti. L’età media degli italiani passerà dai 45,7 anni del 2020 ai 50,7 anni nel 2050, ma già oggi i lavoratori under 30 iscritti nella bilateralità industriale sono un quinto di quelli iscritti nel 2003, secondo l’allarme del sindacato Filca-Cisl riportato nei giorni scorsi su queste colonne. Il settore dell’edilizia ha di fronte a sé, per i prossimi mesi e anni, una nuova fase di imponenti investimenti resa possibile dai fondi europei di Next Generation Eu, ed ecco che invece qui e ora «uno dei fattori critici rimane la carenza di personale», denunciano i costruttori di Ance Bergamo.

Considerazioni simili dovrebbero essere sufficienti a convincere tutti noi che l’«inverno demografico» non è uno spauracchio degli esperti di demografia o di statistica, ossessionati dai dati e dai modelli previsionali, ma è tra le crisi più gravi che attanagliano al momento la società italiana.

Censimento e previsioni sulla nostra popolazione, resi noti di recente dall’Istat, sono per molti versi impressionanti. Se oggi gli italiani di 65 anni e più rappresentano già il 23,2% del totale e quelli fino a 14 anni d’età il 13%, tra vent’anni gli over 65 potrebbero rappresentare il 35% del totale e gli under 14 l’11,7%. Il rapporto tra giovani e anziani sarà dunque di uno a tre. Ancora: la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) sarà la componente «più soggetta a repentina variazione, scenderebbe - secondo l’Istat - dal 63,8% al 53,3%». Vittime di una sorta di illusione ottica, siamo portati a sorvolare sul fatto che cambiamenti così radicali nella nostra popolazione sono già in atto da un trentennio. La pandemia ha solo accelerato simili squilibri, frutto di prolungata denatalità e intenso invecchiamento. Se già prima del 2020 eravamo arrivati a registrare ogni anno 214mila morti in più rispetto ai nati, ha notato il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, a causa dell’emergenza sanitaria i decessi sono stati addirittura 342mila in più delle nascite. Allo stesso tempo la forte diminuzione del flusso migratorio che prima della pandemia compensava in parte il saldo naturale negativo ha fatto emergere con maggiore evidenza il crollo del numero di abitanti.

Il «paesaggio demografico», metteva in guardia nel 2000 il grande studioso francese Jean-Claude Chesnais, è «come uno sfondo, i cui cambiamenti trasformano discretamente e silenziosamente - ma in modo duraturo e cruciale - gli equilibri politici, i rapporti di forza. Visto che la loro incidenza non è percepibile che nel lungo periodo (almeno un quarto di secolo) e poiché soprattutto essa è tanto più forte (essendo moltiplicativa) quanto più l’orizzonte temporale considerato è lontano, ecco allora che i contemporanei, presi dai problemi immediati, hanno la tendenza a ignorarla. È sempre la pressione di ciò che è visibile, di breve termine e di congiunturale a prevalere sullo strutturale». Non a caso gli osservatori più avveduti si rifiutano ormai di parlare di «emergenza demografica», preferiscono definirla una crisi conclamata o un malessere decennale.

Come uscirne? Nell’immediato la leva più rapida a nostra disposizione è quella di far rientrare nel mercato del lavoro chi per varie ragioni ne è escluso: nel caso dell’edilizia, per esempio, i giovanissimi bisognosi della giusta formazione e - perché no - degli adeguati incentivi salariali; in altri campi poi le donne e i più anziani in buone condizioni di salute per i quali l’età pensionabile non deve rassomigliare a un’espulsione coatta e improvvisa dalla vita attiva. Nel medio periodo, inoltre, un’immigrazione regolare opportunamente governata e selezionata - come è accaduto in altre fasi della storia recente - potrà fornire un aiuto decisivo. Ma una classe dirigente consapevole delle proprie responsabilità, nelle sue varie articolazioni - politica, industriale e intellettuale -, non può insistere su soluzioni emergenziali a fronte di uno squilibrio nient’affatto straordinario. Per questa ragione le misure per invertire l’andamento della natalità dovrebbero diventare un’urgenza legislativa e di bilancio.

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