Le facili promesse alla prova della realtà

POLITICA. Si fa della facile ironia sui partiti che quando vanno al potere rinnegano le promesse elettorali. È il problema di Giorgia Meloni, che per certe marce indietro va se mai apprezzata.

Il punto non è il «tradimento» delle promesse, ma averle fatte con sprezzo della realtà. Lo dicono la rassegnata mediocrità della legge di Bilancio e la sconfitta prima in Spagna e poi in Polonia di partiti sovranisti amici, con cui flirtare pericolosamente alle spalle dei veri partner Francia e Germania. La presa d’atto, nella legge di Bilancio, che pur facendo altro debito si possono fare solo poche cose scontate è problema assai serio per un governo «politico», ridotto a mostrare il vero se stesso solo nella chimera presidenzialista, nell’individuazione di sempre nuovi nemici e in poche e logore battaglie identitarie.

Per di più, se gli alleati internazionali faticano, anche il principale «amico» interno non aiuta: il Salvini che non poteva opporsi a Draghi perché c’era Giorgetti, ora si sente autorizzato a farlo con Meloni, pur in presenza sempre dello stesso Giorgetti. Un valzer che ha successo solo se gli elettori sono smemorati.

Ora ritornerà il patto di stabilità e l’unica incertezza riguarda l’entità della cauzione antidebito da mettere sul piatto: da 20 a 50 miliardi. Si sta negoziando qualche ovvia attenuazione, ma solo se non bofonchi sottovoce contro l’Europa.

Il punto essenziale non è dunque quello di denunciare le incoerenze del governo quando deve fare il suo lavoro, ma se mai di saper riconoscere le bufale quando te le propongono.

Se hai 3.000 miliardi di debito, lo spread più alto della Grecia, se non sei svelto a utilizzare miliardi europei del Next Generation Eu, se rifiuti il Mes, flirti ancora e sempre con corporazioni come taxisti e balneari, non puoi promettere – troppo facile - tasse tagliate, stipendi più alti, pensioni senza contribuzione, benzina a prezzo politico, ponti sullo Stretto. Tutti problemi da affrontare se mai con le riforme, non con la spensieratezza degli irresponsabili.

Per molti partiti nuovi e un po’ maldestramente per alcuni di quelli vecchi ha funzionato inizialmente l’inganno populista: non dar retta alle odiate élites, agli esperti, agli economisti saccenti, ai profeti di sventura con la pancia piena, tutti adoratori della globalizzazione, e naturalmente del solito liberismo immaginario. I promettitori seriali di facili soluzioni a debito, prima o poi, deludono e fanno stare a casa molti elettori. Quando però tornano alle urne, come in Polonia, fanno cascare il castello.

Milena Gabanelli ha pubblicato di recente una ricerca che ha forse il difetto di guardare solo a destra mentre anche a sinistra il contagio populista è stato forte. Ebbene, nel 1998 i populisti erano al governo solo in 2 Paesi, 20 anni dopo in 11, con 170 milioni di cittadini, 57 gagliardi partiti tra destra ed estrema destra.

Ma forse qualcosa si muove, sia pure in modo ancora altalenante. Il risultato polacco è molto importante, per la fiducia data ad un liberale europeista dopo il regime di Kaczynski. In Spagna c’è stato il flop di Vox, nonostante i comizi meloniani. Nelle più antiche democrazie mondiali, l’inventore della Brexit è passato dal 27,5% dei voti allo 0,1, e in Usa un pur debole Biden sembra più forte di Trump. Ma non tutto è chiaro. In Slovacchia, il gemello del polacco Tusk ha perso, la plurisconfitta francese Le Pen è diventata merce esportabile, sia pur solo a Pontida, in Germania sono andati fin troppo bene gli amici post nazisti di Salvini. In Svezia i nazionalpopulisti sono il secondo partito. In Finlandia i Finns sono al governo. E così in Austria e nell’Ungheria di Orban.

Per il Parlamento europeo i sondaggi dicono che non prevarranno e che la guida delle istituzioni comunitarie sarà ancora appannaggio dei partiti storici: cattolici, liberali, socialisti, verdi non fondamentalisti, ma non si potrà non tener conto di una consistente minoranza antieuropea che influenzerà una sinistra in discesa, e a rischio smarrimento.

In queste condizioni, resterà difficile superare il diritto di veto, che è il vero muro da abbattere se si vuole che l’Europa conti politicamente.

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