Le Politiche familiari e i tre nodi ancora aperti

Il 2022 potrebbe essere davvero «epocale» per le politiche familiari. Con il 1° gennaio è partito l’assegno unico che rivoluziona il concetto di supporto alle famiglie con figli, svincolandolo dal tipo di lavoro svolto dai genitori e legandolo unicamente all’essere figlio.

Il contributo non è una tantum, ma accompagna i figli fino all’età adulta, con una cadenza mensile che evidenzia come crescere è un percorso fatto di tappe, ciascuna delle quali deve essere riconosciuta e favorita. Il 6 aprile poi è stata approvata la legge sul Family Act , che oltre all’assegno unico, prevede sostegni alla genitorialità e misure di contrasto alla denatalità. Tra le novità c’è l’estensione della conciliazione tra famiglia-lavoro che sarà incrementata per le mamme, ma dovrà comprendere anche i papà. Si dovranno anche rivedere i congedi parentali di maternità e paternità fino al compimento del 14° anno di età del figlio e introdurre detrazioni fiscali per le spese legate all’istruzione universitaria, per la locazione dell’abitazione principale o l’acquisto della prima casa per le giovani coppie. Un buon inizio, ma bisogna continuare. Perché la politica, come la famiglia, quando vogliono incidere hanno tempi lunghi.

La crisi demografica, nel nostro Paese, dura ormai da 35 anni ovvero da quando il numero medio di figli per donna è sceso da 2 a 1. Il 2021 ha visto il nuovo record negativo di nascite 399.431 rilevato dall’Istat: 12.500 in meno rispetto al 2020 che era già di 15.000 in meno rispetto al 2019. La pandemia ha aggravato lo squilibrio tra popolazione anziana e popolazione giovane. L’Italia rischia di trovarsi a metà secolo con un rapporto 1 a 1 tra lavoratori e pensionati, uno scenario difficilmente sostenibile dal punto di vista sociale ed economico. Ma la vera sorpresa è che l’80% delle coppie vorrebbe avere più di un figlio. Carenza lavorativa, incertezza economica, tasse e spese esorbitanti per una giovane coppia, fanno propendere per rinviare, se non chiudere il discorso figli. Il pericolo è che chi sta vivendo la fase progettuale della propria vita sia costretto a rinunciarvi spegnendo anche il desiderio e la fiducia nel futuro.

La pandemia ha aggravato lo squilibrio tra popolazione anziana e popolazione giovane. L’Italia rischia di trovarsi a metà secolo con un rapporto 1 a 1 tra lavoratori e pensionati, uno scenario difficilmente sostenibile dal punto di vista sociale ed economico

I nodi da affrontare sono principalmente tre. Il primo è sul tempo di arrivo del primo figlio, causato dalla difficoltà a conquistare autonomia dalla famiglia di origine, con ingresso stabile nel mondo del lavoro. Il secondo nodo critico è quello che frena il passaggio dal primo al secondo figlio. Si tratta della difficoltà ad armonizzare l’impegno lavorativo e i tempi della famiglia, per cui difficilmente si rilancia oltre il primogenito, nonostante l’aiuto dei nonni. Si deve intervenire sui tempi lavoro-famiglia anche per motivi educativi: ragazzi in didattica a distanza e genitori al lavoro hanno avuto un impatto deleterio sugli equilibri famigliari. Il terzo è l’alta esposizione all’impoverimento economico, soprattutto per chi va oltre il secondo figlio.

Rispetto a tutti questi punti l’Italia ha i peggiori indicatori in Europa. Abbiamo la più alta percentuale di Neet, giovani che non studiano e non lavorano; tra i più bassi tassi di occupazione delle donne con figli; tra i più alti rischi di povertà infantile. I valori del Meridione sono poi i peggiori. In passato le persone non si ponevano la questione «quando» avere una gravidanza e a «quanti» figli fermarsi, semplicemente si formava un’unione di coppia e i figli erano tanti quanti ne arrivavano. Oggi, avere figli è sempre meno una scelta scontata, è frutto di un calcolo oculato che deve trovare le condizioni adatte per potersi realizzare. Cosa si può fare nell’immediato? Chi ha 30 anni deve poter trovare subito l’incoraggiamento e il sostegno adeguato per realizzare il desiderio di genitorialità, prima che si trasformi in una rinuncia definitiva. Nel frattempo è necessario mettere gli attuali 25enni nelle condizioni di non rinviare troppo le loro scelte, consentendo così di poter aggiungere un figlio in più, piuttosto che accontentarsi di uno in meno. Solo così il tasso di fecondità potrà salire oltre i livelli medi europei e invertire la tendenza negativa delle nascite. Per farlo bisognerà combinare bene l’uso delle risorse del Next generation Eu e quanto prevede il Family Act, ma abbiamo bisogno anche di un clima culturale che torni ad essere incoraggiante verso scelte del presente che impegnano positivamente verso il futuro. I nuovi genitori non vogliono rassegnarsi a vedere i loro figli su Skype perché qui in Italia non possono realizzare i loro sogni. Costringere le donne a scegliere tra casa o lavoro non è giusto, ma prima ancora non è rispettoso della dignità personale della donna e del suo desiderio di maternità. Così, sia ben chiaro, non è che bisogna fare figli per pagare le pensioni. I figli non sono frutto di un ragionamento utilitaristico. Il figlio è sempre frutto dell’amore. Di un amore generativo e generoso. I figli in questo momento storico, tra pandemia e guerra, sono il segno concreto di un Paese che torna a desiderare e a sperare.

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