Le Province sono utili: nuovo ruolo ed elezioni

POLITICA. Tornare a ragionare in concreto sul ruolo delle Province è un atto di buon senso. È in esaurimento la sbornia anticasta che aveva preso di mira questa istituzione - la più antica d’Italia, precedente addirittura all’Unità - solo perché era la più debole e indifesa.

Ma, attenzione, non perdiamo l’occasione per ripensare meglio tutto, compreso l’abbaglio delle Città metropolitane, mai davvero esistite. Non si tratta semplicemente di tornare allo stato precedente. Sarebbe un errore uguale e contrario a quello della cosiddetta «abolizione», mai attuata, ma sbandierata come salvifica punizione della classe politica. Certo che è importante ripristinare l’elettività dei Consigli provinciali e con essi la responsabilità dei presidenti e degli assessori, rimettendo in ordine i rapporti tra politica che dirige e burocrazia che esegue. È stata una grande sciocchezza prendersela con i «costi» dei consiglieri provinciali, con lettura letterale, capitolo per capitolo, di un famoso libro che sarebbe poi diventato pari pari il programma di un partito senza storia, idee, valori, classe dirigente. Cose che poi si pagano.

Un inganno, anche. Prima della riforma Renzi-Delrio, con la sua pretesa di «assorbire» una generica avversione popolare (il solito errore di far proprie le tesi degli avversari credendo di svuotarli: era già capitato con la riforma del titolo V), in Provincia di Bergamo la «casta» dei consiglieri provinciali costava ai cittadini l’equivalente di un euro (meno di un caffè al bar). Poco più di un milione: all’anno, si badi bene. Con un bel tratto di penna sulla democrazia rappresentativa, si è fatto così un Consiglio di già eletti nei Comuni, portando via agli elettori la scelta (con larghe zone del territorio sopra o sottorappresentate), sostituendoli con conciliaboli di vertice che hanno prodotto tre presidenti scelti a tavolino da maggioranze strane. Al primo di essi, subito dopo la riforma, sono stati tolti persino gli emolumenti per un compito pur pesante e rischioso. Che si arrangiasse. Si obietta che in tempi di scarsa partecipazione alle urne, un’elezione provinciale non scalda i cuori, ma è forse più vero il contrario, e cioè che le istituzioni hanno dato il cattivo esempio, certificando che le urne stesse sono inutili. Dunque, bene si sta facendo in Parlamento (con relatrice la bergamasca Daisy Pirovano) a ripristinare l’elezione diretta.

Ma sarebbe un errore imperdonabile non cogliere l’occasione per definire meglio il ruolo programmatico delle Province, per finanziarle in modo razionale, per migliorare il livello di competenza dei funzionari, per modernizzarle. Tutti presi a punire la Casta, solo per fare un esempio, nessuno si è occupato seriamente di un tema - la pianificazione dei centri commerciali - che è ormai un’occasione perduta. Il territorio ne è cosparso oggettivamente senza un progetto generale: fai tu, faccio io, ognuno è andato per proprio conto, con i Comuni ineluttabilmente ingolositi da entrate straordinarie, visto che quelle ordinarie sono un problema. Lo stesso si può dire della logistica, che è dilagante e forse siamo ancora in tempo per programmarla, ma è oggi affidata al caso, con le Province che vorrebbero ma non possono, e talora ricorrono all’ostruzionismo e al rimpallo con i ministeri romani, maltrattando gli operatori economici e rinunciando al loro compito istituzionale. Dunque, attenzione a non sbagliare. C’è infine anche un problema politico. Se andasse avanti il disegno delle autonomie regionali rafforzate, come potrà conciliarsi un nuovo ruolo delle Province?

Tema molto delicato, perché la riforma delle autonomie è, allo stato, materia incerta, terreno di potenziale scontro paralizzante della maggioranza, mentre la miniriforma delle Province potrebbe passare in poche settimane. La cosa peggiore sarebbe avere due sgorbi nel futuro per cancellarne uno del passato.

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