Le spine del governo e le nomine nel partito

ITALIA. Ci siamo, la politica riprende a marciare. Con l’arrivo della prima perturbazione meteorologica pre-autunnale, anche la macchina del governo torna a pieno regime. In realtà non si è mai veramente fermata, stando ai dettami della politica social, ma sarà il consiglio dei ministri di lunedì 28 a dare il vero «la» alla ripresa.

Che poi significa: manovra economica 2023. Con i relativi problemi: Pil che frena e meno margini per mantenere le promesse elettorali, alcuni delle quali imprescindibili: proroga dei tagli al cuneo fiscale, riforma Irpef, soldi per la sanità, sostegno alle imprese, sgravi per chi investe.

Un aiuto può venire dalla tassa sulle banche, ma si tratta della solita quadratura del cerchio. Obbligatorio non far sballare i conti pubblici altrimenti Bruxelles ci boccia e i mercati si imbizzarriscono, ma obbligatorio anche dimostrare all’elettorato che è valsa la pena di mandare Meloni a palazzo Chigi. Anche perché in primavera si vota per le europee. Si vota con il sistema proporzionale per cui ogni partito viene «pesato», e questo significa molto per gli equilibri dentro la maggioranza tra Meloni, Salvini e i berlusconiani. Tanto più se si considera che Salvini non rinuncia a provare ogni volta che può a scavalcare FdI sui temi identitari (vedi il caso del generale Vannacci che molti vogliono candidato con la Lega per un seggio a Strasburgo).

Il voto sarà il primo test per il governo nato l’anno scorso suscitando molte attese. Tra queste, un deciso stop all’immigrazione clandestina e un’impennata dei rimpatri. Il guaio è che sta accadendo esattamente il contrario: gli sbarchi sono triplicati rispetto a tre anni fa e, per quanto Meloni sia riuscita a far capire agli altri Paesi europei che il problema non può essere solo nostro, l’Ue ancora fa largamente orecchie da mercante. Nel frattempo, Mattarella manda un chiaro messaggio al governo quando indica in «ingressi regolari, costanti, in numero adeguatamente ampio» la ricetta per battere la tratta degli esseri umani in corso nel Mediterraneo, e attacca gli «antistorici nazionalismi» come male per la nostra società. Anche al Quirinale, oltre che a Bruxelles, Meloni deve in qualche modo rispondere. Non che sia tutto qui: la partita per rinegoziare le nuove regole del Trattato di Stabilità sono in corso e noi, se torna l’epoca dell’austerità propugnata dai falchi del Nord, rischiamo di vedercela brutta: i ministri Giorgetti e Fitto da tempo vanno lanciando allarmi. C’è sempre l’arma della ratifica del Mes che si può usare per ottenere qualcosa (per esempio, chiediamo di non conteggiare nel deficit gli investimenti green e digitali previsti dal piano Next Generation Ue) ma sembra ormai un’arma un po’ spuntata, anche perché la Commissione ci ha messo in mora per quel che riguarda l’attuazione del Pnrr su cui facciamo un’enorme fatica.

Insomma, per la presidente del Consiglio sono molte le questioni da affrontare sull’«otto volante» come lei ha definito l’incarico ricevuto meno di un anno fa. Per questa ragione lei deve essere assolutamente tranquilla che nelle retrovie del suo partito non ci siano agitazioni o brontolii: ecco dunque la nomina di sua sorella Arianna e del sottosegretario Fazzolari a «consoli» del partito, l’una a capo della segreteria politica e l’altro come responsabile della comunicazione. La cosa ha suscitato non poche proteste interne e la richiesta di un congresso, ma per ora la cosa non preoccupa.

Notizie dall’altro fronte. Tentativi di coordinamento tra due concorrenti, il M5S di Conte e il Pd di Schlein per contrastare la maggioranza: salario minimo per legge come base di un accordo. Ma sul resto è concorrenza all’ultimo voto. Nel frattempo anche Schlein deve fare i conti con le ondate migratorie: «La politica dei porti spalancati qui da noi non la sostiene più nessuno» sussurra un sindaco Pd. Tranne, appunto, la segretaria del partito.

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