L’economia e la guerra: alto tasso d’incertezza

In queste ore i mercati, cioè quegli investitori che muovono risparmi di centinaia di milioni di noi cittadini più o meno ricchi, sulla base di quali informazioni prendono le loro decisioni? Scrutano quanto accade sul campo di battaglia in Ucraina o forse ascoltano le conferenze stampa dei governatori delle Banche centrali? Entrambe le cose, verrebbe da dire visto il ripido saliscendi delle Borse europee.

Ogni summit annunciato tra i negoziatori di Russia e Ucraina può essere buono per comprare sull’onda della speranza, e ogni successivo nulla di fatto diplomatico (come ieri) diventa occasione per vendere. All’incertezza bellica, con le sue visibili conseguenze in termini di rialzo dei prezzi delle materie prime e di ulteriori strozzature alle catene del valore, si somma adesso l’incertezza della politica monetaria.

Ieri le parole della presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, sono state interpretate dai più come un segnale di ritiro anticipato del sostegno straordinario all’economia dell’Eurozona. Così si spiega il rapido balzo in avanti dei rendimenti dei titoli di debito europeo, e in particolare la fiammata dello spread, il differenziale tra il rendimento del Btp decennale italiano e l’omologo Bund tedesco. Un campanello d’allarme importante per un Paese come il nostro, notoriamente tra i più indebitati del pianeta, visto che un rendimento più elevato sui titoli sovrani accresce i costi di ogni nuovo prestito sul mercato.

Gli osservatori sanno che oggi la Banca centrale europea si trova a un bivio che ha pochi precedenti nella storia recente: da una parte c’è la strada della restrizione monetaria per fare fronte a un’inflazione in netto rialzo, attorno al 6% nell’Eurozona, quindi ben più alta del livello del 2% che è l’obiettivo della Bce; dall’altra parte c’è la strada della continuazione dello stimolo monetario per disinnescare una contrazione dell’economia dovuta alla guerra che rischia di far deragliare la ripresa post-pandemia.

Quale strada ha preso la Bce? Difficile a dirsi con certezza, almeno per il momento, ma gli investitori sembrano essersi fatti un’idea in proposito. Dall’Istituto di Francoforte hanno chiarito di aver ben presente che «l’invasione russa in Ucraina è uno spartiacque per l’Europa», e hanno rassicurato sul fatto che la Banca è pronta a «intraprendere qualsiasi azione sia necessaria per perseguire la stabilità dei prezzi e salvaguardare la stabilità finanziaria».

Dopodiché la Bce, pur allontanando (a parole) il rialzo dei tassi d’interesse, ha ridotto da subito gli acquisti di titoli che sono una delle principali leve dell’espansione monetaria degli ultimi anni: l’ammontare di acquisti sarà per 40 miliardi di euro in aprile, 30 miliardi a maggio e 20 miliardi a giugno; fino a ieri ci si attendeva invece maggiore gradualità nella riduzione dello stimolo, visto che gli acquisti sarebbero scesi a 20 miliardi solo a partire da ottobre. Ecco l’indizio che ha spinto la maggior parte degli investitori a ritenere che Francoforte intenda privilegiare la strada che porta a domare i prezzi piuttosto che quella che conduce a sostenere ancora più a lungo la ripresa.

Considerata la volatilità del momento, non c’è dubbio che gli operatori avranno tempo e modo per ricredersi, alla ricerca disperata – come sembrano – di punti di riferimento. Detto ciò, considerato l’abbassamento delle previsioni di crescita comunicato sempre ieri dalla Bce, nemmeno lo scenario della stagflazione – cioè un mix di crescita stagnante e prezzi al rialzo – può essere più liquidato come del tutto improbabile.

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