Libia, il rischio
di perderla
Nella geopolitica (come in natura) il vuoto non esiste. Viene subito colmato, soprattutto laddove ci sono in gioco interessi strategici ed economici. La Siria e la Libia sono un caso scuola: nei due Paesi l’America di Trump ha tirato i remi in barca, mantenendo un monitoraggio a distanza, e lo spazio libero è stato subito riempito da Russia e Turchia. La vicenda libica ci riguarda in modo particolare: per la vicinanza geografica, per i legami storici, per interessi economici (i giacimenti petroliferi in Africa in mano all’Eni) e per la questione migranti.
Un breve riassunto è utile a capire dove siamo arrivati: la Libia è spaccata in due dal 2014, da una parte il governo di accordo nazionale e il presidente Fayez al-Serraj che amministrano Tripoli e dintorni, sostenuti da Onu, Usa, Unione europea, Italia, Regno Unito, Turchia e Qatar; dall’altra il generale Khalifa Haftar, cresciuto alla scuola di Gheddafi e poi rinnegato, appoggiato da Egitto, Arabia Saudita, Emirati e Francia. Il 4 aprile scorso il generale ha dichiarato guerra a Serraj, avanzando con le sue truppe verso Tripoli e ora attestato a dieci chilometri dalla capitale.
LA COMUNITÀ
DE L'ECO DI BERGAMO
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