L’industria che risale, la politica che manca

ITALIA. L’andamento positivo della produzione industriale bergamasca nel terzo trimestre non può che essere accolto con favore. La crescita dell’1,2% rispetto allo stesso periodo del 2024 ha interrotto una serie negativa che durava ormai da due anni e mezzo, troppo.

Dopo la corsa a pieni giri nella ripresa post-Covid, infatti, era dal secondo trimestre del 2023 che il dato inanellava segni negativi, tolta una piccola parentesi nel quarto trimestre dell’anno scorso. C’è da sperare che anche l’ultima parte di questo 2025 possa portare fieno in cascina. Considerato tuttavia che i numeri dell’estate potrebbero aver beneficiato anche di un anticipo delle vendite negli Stati Uniti per prevenire l’effetto dazi, è lecito brindare ma con moderazione, considerato peraltro anche il fatto che la crescita bergamasca è sotto la media lombarda (pari al 2,2%) mentre in passato eravamo spesso abituati ad andare meglio del dato regionale.

La crescita dell’1,2% rispetto allo stesso periodo del 2024 ha interrotto una serie negativa che durava ormai da due anni e mezzo, troppo

Dai numeri emergono comunque almeno due conferme positive. L’industria bergamasca, che continua a mostrare una certa vivacità d’iniziativa, ha infatti due carte importanti da giocare. La prima è la diversificazione per settori. La meccanica è prevalente nell’articolazione delle nostre fabbriche e proprio questa è indicata in calo dalla nota della Camera di commercio nella media dei primi nove mesi, anche se non viene specificato di quanto e il dettaglio potrebbe non essere irrilevante. Nonostante questa contrazione, l’industria nel complesso riesce a crescere perché altri settori, come la gomma-plastica, la siderurgia e l’alimentare, compensano. La seconda carta che il nostro manifatturiero ha sempre saputo giocare portando a casa risultati è la diversificazione dei mercati. È così che di trimestre in trimestre le esportazioni aumentano (l’ultimo dato riferito al periodo fra aprile e giugno parla di una crescita del 4,5%), riuscendo a superare incertezze geopolitiche, tensioni commerciali e, soprattutto, il rallentamento della locomotiva tedesca. A tal proposito, c’è da augurarsi che viceversa per il futuro non ci si adagi troppo sulle speranze di ripartenza della Germania e si continui invece a macinare export anche oltre.

Nonostante la contrazione della meccanica, l’industria nel complesso riesce a crescere perché altri settori, come la gomma-plastica, la siderurgia e l’alimentare, compensano

Allo stesso modo, il continuo viaggiare controvento della nostra provincia, tra i territori più industrializzati d’Europa e alle prese con una crisi demografica che sta cercando di affrontare costruendosi da sola le soluzioni, non può metterci al riparo da riflessioni più ampie. La domanda di fondo è: quanto durerà ancora la benzina dell’intraprendere nel nostro Paese e in Europa? Ripetere che manca una politica industriale sembra un disco rotto e tuttavia è drammaticamente vero. Non può essere considerata tale una politica delle agevolazioni, che possono mettere una toppa, dare un aiuto qui e uno là, ma non intervengono in modo strutturale sul sistema manifatturiero. Servono strategie di ampio respiro, serve investire per non perdere e anzi reinventare un patrimonio che è fonte di conoscenza tecnologica e valore aggiunto insostituibili.

Al di là delle differenze territoriali, tuttavia, ci sono considerazioni del manifesto che possono offrire spunti di riflessione interessanti, quando si parla ad esempio della necessità di governare congiuntamente le vocazioni all’industria e al turismo e quando si mette in guardia dal rifugiarsi nella rendita rispetto al rischio di investire nel manifatturiero

Da Torino a Taranto, appelli e dibattiti contro il rischio di un declino industriale del Paese non mancano. Uno di questi è arrivato nei mesi scorsi, era settembre, dalla Toscana dove tre economisti – Marco Buti, Stefano Casini Benvenuti e Alessandro Petretto – hanno presentato un manifesto per la reindustrializzazione della regione. L’Italia dei Comuni mostra note ricorrenti e al tempo stesso sfumature accentuate da un’area all’altra. La Toscana, per dire, dipende dalle esportazioni negli Stati Uniti più della Lombardia e ha storicamente un’incidenza significativa del comparto moda. Al di là delle differenze territoriali, tuttavia, ci sono considerazioni del manifesto che possono offrire spunti di riflessione interessanti, quando si parla ad esempio della necessità di governare congiuntamente le vocazioni all’industria e al turismo e quando si mette in guardia dal rifugiarsi nella rendita rispetto al rischio di investire nel manifatturiero.

Serve, per l’appunto, una politica industriale, che sappia alleggerire zavorre che ci arrivano dal passato, come il prezzo dell’energia troppo alto, e al tempo stesso guardare lontano, tanto più che la tecnologia sta correndo, come ha ricordato giusto ieri l’ex presidente della Bce ed ex premier Mario Draghi: «Con la rivoluzione dell’Intelligenza artificiale lo scorso anno gli Stati Uniti hanno prodotto 40 grandi modelli fondamentali, la Cina 15 e l’Unione europea soltanto tre».

© RIPRODUZIONE RISERVATA