L'Editoriale
Venerdì 07 Novembre 2025
L’invadenza partitica su organismi indipendenti
ITALIA. La recente controversia sulla multa inflitta dal Garante per la Privacy alla Rai per la trasmissione Report ha riportato all’attenzione pubblica l’operato delle cosiddette «autorità amministrative indipendenti».
Queste pubbliche amministrazioni sono state istituite per lo più negli anni Novanta del secolo scorso, nel contesto del passaggio, che allora si compiva, dallo Stato imprenditore allo Stato regolatore. Erano gli anni di emersione di Tangentopoli e di una generalizzata sfiducia verso la gestione partitocratica della cosa pubblica. In quel contesto, a far da contraltare al discredito di cui soffrivano i partiti, e da cui mai si sono risollevati, si respirava una fiducia diffusa verso i tecnici, confermata dall’apprezzamento per esperienze di Governo appunto a guida tecnica (in primis, per il Governo Ciampi). E così, in quel clima politico, e su influsso dell’Unione europea, sono nate numerose autorità amministrative indipendenti, con funzioni regolatorie o para-giurisdizionali.
Ciò che doveva caratterizzare tutte queste p.a. era la loro separazione dal circuito dell’indirizzo politico (e dunque dalla maggioranza di Governo), che doveva trovare corrispondenza nei profili di alta competenza e di indipendenza morale teoricamente richiesti ai membri di queste Autorità. Ciò nondimeno, con gli anni, l’attenzione pubblica sull’operato di questi Garanti si è attenuata e questo ha favorito un certo lassismo nelle nomine, che hanno premiato, in non pochi casi, figure prive di competenza specialistica e, soprattutto, riconducibili a chiare appartenenze partitiche.
Il Garante e il caso Report
Le Autorità sono così diventate l’ennesimo luogo di un’almeno parziale occupazione partitica. Il caso odierno, che vede contrapposte il Garante per la Privacy e la trasmissione Report, ha palesato condotte quanto meno gravemente inopportune da parte di un membro di questa Autorità, che hanno sollevato legittimi dubbi sull’indipendenza del suo operato. La vicenda, al di là del merito specifico, si inserisce in un quadro assai più ampio e preoccupante di vorace occupazione, da parte del sistema partitico, di gangli vitali della pubblica amministrazione, nonché del «mondo di mezzo» tra società politica e società civile. A questa occupazione non corrisponde nemmeno più una giustificazione – che, in passato, poteva avere qualche base – circa la capacità del sistema partitico di riflettere un pluralismo reale, di natura politico-culturale, del tessuto della cittadinanza. E non ha mai corrisposto una garanzia di democraticità interna dei partiti, che mantengono la loro opaca natura organizzativa, oligarchica e verticistica. Deve preoccupare se questa invadenza partitica investe organi che dovrebbero restare protetti dal condizionamento partitico, tanto più se questo proviene dalla sola maggioranza di Governo. Il fenomeno non riguarda solo i Garanti in senso stretto. Si pensi alla deleteria occupazione partitica che grava (da sempre) sulla Rai. E, purtroppo, anche su organi di garanzia costituzionale.
La riforma del Csm
Ne è riprova - l’ultima - la recente riforma costituzionale del Csm, organo di garanzia di indipendenza della Magistratura, che è stato sdoppiato in un assetto per i giudici e in un altro per i pubblici ministeri. In questi due nuovi organi, la componente espressione della magistratura (cosiddetta «togata») non è più eletta, ma sorteggiata tra tutti i magistrati, separatamente giudici e pubblici ministeri, per evitare – così il Governo ci racconta – la «politicizzazione» della Magistratura. E tuttavia la selezione della componente cosiddetta «laica» (perché formata non da magistrati) dei due Csm non avverrà mediante analogo sorteggio secco, ma pescando da un elenco predisposto dal Parlamento in seduta comune. Come dire: dal Csm devono togliere le mani le correnti della Magistratura, ma i partiti possono continuare a tenere le loro e a collocare propri «sodali» in gangli delicati e in organi di garanzia.
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