L’Italia malata
dei commissari

Malgrado taluni sforzi estemporanei, quasi mai sostenuti da una visione politica più metodologica e di ampio respiro, continuiamo a caratterizzarci con l’essere il Paese delle emergenze croniche. E così, in perenne attesa di una riforma organica della pubblica amministrazione, l’Italia si consegna sempre più frequentemente a Commissari straordinari, veri e propri «manager dell’emergenza» cui viene affidato il compito di affrontare la miriade di problematiche che enti, stituzioni e relativi top manager non riescono a risolvere. Secondo il costituzionalista Sabino Cassese, «i commissari straordinari sono il sintomo della malattia. Si ricorre a loro sempre di più, perché l’amministrazione ordinaria non funziona».

Ci sono stati e ci sono Commissari straordinari di vario tipo: per la ricostruzione delle zone terremotate; per la gestione dei parchi nazionali; per il funzionamento dei musei; per i grandi eventi; per le grandi opere; per far fronte alle calamità naturali; per la lotta al racket, all’usura e alla mafia; per la lotta alla corruzione; per sbloccare i cantieri; per l’ordinaria amministrazione di comuni sciolti per infiltrazioni mafiose o con i bilanci dissestati; per le banche in situazioni di crisi amministrativa e patrimoniale; per il Mose; per l’Alitalia; per l’Ilva; per la Tav Torino-Lione; per il ponte Morandi; per vari tratti autostradali. Molti di loro finiscono paradossalmente col diventare parte integrante del problema che dovrebbero risolvere, costituendo un vero e proprio apparato macchinoso bisognoso di continui finanziamenti a cui, quasi mai, corrispondono i risultati sperati. A darne conferma è la stessa Corte dei conti che ha dichiarato: «La soluzione del commissariamento e i relativi criteri di retribuzione dei commissari, potrebbero avere indirettamente favorito il protrarsi di fattispecie sostanzialmente prive di sbocchi».

In un Paese antropologicamente corrotto e male organizzato come il nostro, i Commissari hanno gradualmente acquistato un notevole peso specifico grazie all’istituzionalizzazione burocratica di «tempi biblici per la risoluzione di obiettivi vaghi». Tutto ciò, nonostante essi godano di procedure accelerate e preferenziali, sia loro concessa molta discrezionalità e si giovino di pochi controlli, visto che è escluso qualunque potere di intervento per i Tar e il Consiglio di Stato. Il numero dei commissari è sconosciuto. La loro nomina è infatti solo in parte governativa e in larga misura determinata da provvedimenti di regioni ed enti locali. Neanche la Corte dei conti è riuscita a stabilirne un elenco completo, anche perché non sempre i decreti di nomina o di rinnovo sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale. Secondo una stima del Sole 24 Ore, il numero dei commissari in attività sarebbe di circa 10.000, il 70% dei quali operante nelle zone meridionali, soprattutto in Sicilia. I loro costi sarebbero stimati in oltre un miliardo di euro l’anno.

Un caso particolare è quello relativo al commissariamento delle banche, l’ultimo dei quali sta riguardando la Banca Popolare di Bari. Il Testo unico bancario prevede che, nel caso di gravi carenze amministrative e perdite patrimoniali, venga disposta l’amministrazione straordinaria della banca con decreto del ministro del Tesoro e vengano nominati, al posto dei Consigli di amministrazione e dei collegi sindacali, alcuni commissari su proposta della Banca d’Italia. Il loro compito dovrebbe essere quello di valutare, entro qualche mese, se l’amministrazione della banca possa essere ricondotta agli organi amministrativi originari o debba procedersi alla liquidazione della stessa. Ebbene, fino a oggi, tra centinaia di casi non si ha notizia di quelli per i quali sia stato possibile ripristinare la gestione ordinaria. Quasi sempre, dopo aver proceduto alla denuncia degli amministratori in carica, la Banca d’Italia ha individuato una banca in grado d’incorporare quella in difficoltà per garantire la massima tutela dei risparmiatori. C’è da chiedersi, allora, perché insistere con provvedimenti che servono solo a prolungare l’agonia della banca e a gravarla (e a gravarci) delle non poche spese del commissariamento.

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