Litigano tutti
soprattutto nel governo

Per capire come in Italia le decisioni pubbliche camminino sempre su ruote quadrate, basta guardare alla Puglia dove il Tar di Bari ha riaperto le scuole chiuse a suo tempo dal governatore Emiliano mentre il Tar di Lecce le ha di nuovo sprangate. A distanza di qualche centinaio di chilometri i giudici amministrativi sono andati ognuno per proprio conto costringendo la Regione a riscrivere l’ordinanza scolastica. Come per conto proprio vanno le Regioni, d’altronde, o i ministri, o le categorie più o meno colpite dalle chiusure anti-Covid. Insomma, la solita Italia che in un carnevale di chiacchiere, proteste, alte grida, contraddizioni, bugie e giochi delle tre carte si appresta a fare qualcosa di utilità collettiva riuscendo comunque a dividersi.

Però, guarda la curiosa eccezione, questa volta ad unirsi sono proprio i più litigiosi dei nostri attori sulla scena: i partiti di governo. Nicola Zingaretti, Luigi Di Maio e Matteo Renzi hanno stretto un patto anti-pandemia che serve a prolungare il più possibile la vita del loro governo – purché Conte si decida finalmente a fare un po’ meno di testa sua – così come è attualmente composto (altrimenti Mattarella scaglia fulmini dall’alto del Colle ) e che rimanda la spinosa questione del «rimpasto» a dopo l’emergenza, il che vuol dire alla prossima primavera-estate quando saremo in piena bagarre quirinalizia.

Insomma, i partiti del centrosinistra pentastellato hanno stretto un patto che serve non solo ad andare avanti ma anche a fare fronte comune con le regioni e con i governatori, ognuno dei quali pretende di fare come gli pare purché a «ordinarglielo» sia il governo che se ne dovrebbe accollare gli oneri e le impopolarità.

Sta di fatto che i contagi crescono, gli ospedali sono ad un passo da fare tilt, purtroppo aumentano anche i decessi e la comunità nazionale deve riuscire a venirne fuori con i minori danni possibili. Il decreto «Ristori numero due» era previsto ieri sera in Consiglio dei ministri ma il responsabile del Tesoro Gualtieri (Pd) ha già fatto sapere di aver speso un miliardo per aiutare le imprese chiuse dal Dpcm che dovrebbero ricevere i fondi all’inizio della prossima settimana.

Naturalmente l’opposizione dice che non basta e prova ad intestarsi qualsiasi protesta di categoria, dai ristoratori ai taxisti (in sciopero) chiedendo a gran voce la sospensione delle tasse.

Il punto è che il gettito fiscale è già drammaticamente diminuito di 21 miliardi a causa delle perdite di fatturato derivanti dalla prima ondata (siamo al -9,9 per cento di Pil) per cui tutte le maggiori spese sono fatte a debito. Su questo punto anche Gualtieri comincia a perdere la pazienza con i 5S che restano abbarbicati ad un no granitico al ricorso ai fondi del Mes (37 miliardi a tasso zero e pronta cassa): «Quei soldi ci servono, dice finalmente l’inquilino di via XX Settembre dopo aver traccheggiato per mesi, ma purtroppo i grillini non vogliono prenderli».

Non è chiaro se nel patto di maggioranza stretto ieri la questione sia stata affrontata: sappiamo di sicuro che se la cosa dipendesse da Di Maio i soldi sarebbero già in cassa al Tesoro, il problema è che una decisione in questo senso farebbe esplodere i gruppi parlamentari del M5S che ormai vivono in un marasma difficilmente controllabile e che soprattutto perdono pezzi ogni settimana che passa: il margine al Senato per la maggioranza è ormai sottile come un foglio di carta.

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