Lo spettro dei tecnici (e dei conti pubblici) che agita la maggioranza

ECONOMIA. Davvero lo spread ci porterà ad un governo tecnico proprio come nel 2011 spazzò via Silvio Berlusconi e portò sulla scena Mario Monti?

E’ la domanda del giorno della politica, soprattutto dopo che lo spread è tornato a toccare quota 200 ben prima della previsione di Morgan Stanley («Succederà a dicembre»), e dopo che il Financial Times ha decretato che «è finita la luna di miele tra gli investitori e il governo italiano». Da queste due evenienze, opposizioni e giornali hanno cominciato a ragionare sull’effettiva possibilità di un nuovo governo «tecnico». E ci sarebbe anche il candidato: Fabio Panetta, prossimo governatore della Banca d’Italia e notoriamente in buoni rapporti con Giorgia Meloni e FdI.

La Meloni ha reagito molto male alle indiscrezioni («I soliti noti se lo augurano ma noi continueremo a governare») e ha dato ordine ai suoi di dar fuoco alle polveri per difenderla: c’è chi, tra i deputati di FdI, un governo «che inanella successi e conferme in Europa» e chi accusa le opposizioni di essere «contro l’Italia», ma questa è appunto propaganda amica. Il punto è se quelli che ci comprano i buoni dello Stato comincino a considerarci inaffidabili. Sempre Giorgia Meloni: «Gli investitori non leggono le dichiarazioni dei politici, leggono la Nota aggiuntiva del documento di finanza pubblica (NADEF), e si fidano di quella». Però proprio la NADEF porta il deficit al 5,3% per l’anno in corso e al 4,3% per il 2024 (su questo l’Italia è in compagnia di parecchi altri paesi, a cominciare dalla Francia) e fa previsioni di crescita del PIL considerate un po’ generose: risultato, appena presentata la Nota, lo spread è schizzato a 198, per poi ripiegare di qualche punto. Benchè sia difficile scorgere in questa situazione lo specchio di ciò che accadde nel 2011, bisogna dire che la questione economica si intreccia con i nostri rapporti con l’Europa. Che vuol dire: polemiche sui migranti e stallo delle trattative sulla riforma del regolamento di Dublino, scontro con i paesi del Nord sulle regole del nuovo patto di stabilità, braccio di ferro sulla ratifica italiana del MES, diffidenza per la nostra capacità di attuare il PNRR, ecc.

Per completare il quadro: le elezioni Europee di primavera stanno condizionando tutto ciò. Non sfugge a nessuno che il durissimo colpo su colpo che sta dividendo l’Italia dalla Germania sui finanziamenti tedeschi alle ONG contrappone un governo di destra-centro ad un governo socialdemocratico.

Se in Germania alle Europee prevalessero i popolari di Weber (che infatti è contrario ai fondi dati dal cancelliere Scholz alle ONG), questo potrebbe costituire il tassello fondamentale di una alleanza di conservatori per la nuova Commissione europea.

Meloni vuol far parte di questo gioco, ma come lei attacca Scholz su un tema – l’immigrazione - che porta via i voti alla sinistra, a sua volta si deve aspettare di essere attaccata sul nostro punto debole: il debito pubblico, il rispetto delle regole europee di finanza pubblica, ecc.

Insomma, c’è molta campagna elettorale in tutto ciò.

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