Lo stop Ue su Unicredit: se il governo non è arbitro nel risiko delle banche

ITALIA. Anche in un’economia di mercato come la nostra, esistono ambiti strategici che meritano una speciale tutela e quindi sono sottratti alle consuete dinamiche dei normali processi di acquisizione di un’azienda nei confronti di un’altra.

Anche in un’economia di mercato come la nostra, esistono ambiti strategici che meritano una speciale tutela e quindi sono sottratti alle consuete dinamiche dei normali processi di acquisizione di un’azienda nei confronti di un’altra: la difesa, la sanità, le infrastrutture delle reti di trasporto e quelle informatiche, sempre più critiche per la stessa stabilità della democrazia prima ancora che dell’economia. A questo fine lo Stato detiene una serie di speciali poteri di intervento che vanno sotto la definizione colloquiale di golden power.

Negli anni ’90 esisteva la golden share che consentiva allo Stato, anche disponendo di una minima quota di azioni, di impedire l’acquisizione di un’azienda italiana da parte di una straniera. Nel 2012 questo principio venne esteso anche alle società non partecipate dallo Stato e vennero definiti i settori in cui poteva applicarsi. Il credito e la finanza rientrano fra i comparti così importanti da giustificare l’estensione di questi poteri speciali? Non fino al 2022, quando in occasione di una riforma della disciplina il suo perimetro venne allargato anche alle banche e alle assicurazioni.

L’intervento del governo

È così che a poche ore dall’annuncio dell’Ops di Unicredit su Banco Bpm, il ministro Giorgetti, con una tempestività sospetta, ha potuto paventare il ricorso a questo strumento, lasciando intendere che non fosse scontato che l’offerta passasse il severo vaglio di questo istituto. Per essere più espliciti: menzionare l’eventualità, poi concretizzatasi, che il golden power imponesse condizioni proibitive per quell’operazione, era stato da subito inteso come una barricata a difesa della ex cooperativa veneto-meneghina. Com’è finita lo ricordiamo tutti: Unicredit fa ricorso al Tar che sforna una delle sue sentenze più ambigue (censura solo a metà la decisione) e poi la banca di Orcel ritira l’offerta. Oggi, con la lentezza che le è propria, l’Unione Europea apre una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per avere abusato di questo strumento o, per meglio dire, per averlo applicato in un settore che è sotto la competenza della Bce. Spetta a Francoforte verificare se l’operazione proposta contenga elementi che minacciano la stabilità del sistema bancario europeo, la sua efficienza, o se possa creare un varco per possibili infiltrazioni o ingressi indesiderati. La Bce, dal canto suo, aveva già autorizzato l’offerta di Unicredit prima che l’Italia esercitasse il golden power.

Il vero cuore della vicenda è che il Governo ha utilizzato uno strumento astrattamente utile (il golden power) per indirizzare secondo propri disegni la partita del risiko bancario che si stava solo aprendo

Cosa significa tutto ciò? Sul piano teorico potremmo disquisire all’infinito sui confini fra la sovranità nazionale e quella comunitaria, sulla rilevanza strategica del settore finanziario, sul fatto che l’acquisto di una banca italiana da parte di una banca italiana rappresenti una minaccia ai nostri interessi nazionali (anzi no, su questo c’è poco da discutere: non ce n’è alcuna). Ma il vero cuore della vicenda è che il Governo ha utilizzato uno strumento astrattamente utile (il golden power) per indirizzare secondo propri disegni la partita del risiko bancario che si stava solo aprendo. Insomma, per agire da giocatore e non da arbitro. L’Unione Europea, dal canto suo, non entra nel merito della singola vicenda ma censura l’invasione di campo nelle competenze della Bce, quindi nel settore dove l’integrazione è più avanzata: ad oggi c’è solo l’Unione bancaria, ancorché incompleta, non quella della difesa o della sanità, purtroppo.

Adesso è tardi per rimediare all’abuso del golden power sull’operazione passata. Speriamo che la mossa dell’Ue incoraggi Unicredit ad andare avanti nel tentativo di conquistare Commerzbank, perché abbiamo bisogno di fusioni transnazionali, non di ulteriore concentrazione fra le banche italiane.

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